DIARIO DI VIAGGIO IN EGITTO

di Mauro Morelli
3/10

LE PIRAMIDI Lunedì di buon mattino viene a prenderci l’autista che ci scarrozzerà per tutto l’Egitto con il solito vecchio pulmino Toyota, carico di una decina di anni di onorato servizio in chissà quale parte del mondo. La prima tappa, che raggiungiamo in pochi minuti, è, come previsto, la visita delle mitiche piramidi di Giza e della misteriosa Sfinge, già intraviste nel buio la sera precedente. Pur essendo ormai praticamente attaccate al Cairo, dal cui centro distano infatti solo una dozzina di chilometri, posso dire che una volta entrato nell’ampio sito desertico sul quale sorgono a 3/400 metri di distanza l’una dall’altra, mi dimentico di essere in prossimità di una città e riesco ad isolarmi e a calarmi senza difficoltà nella loro magica atmosfera. Siamo di fronte all’unica meraviglia del mondo antico ancora in piedi, delle sette menzionate dagli storici prima di Cristo. La prima piramide che incontriamo è quella più grande e più vecchia: Cheope. Sono necessarie alcune notizie numeriche per poter dare una seppur minima idea di quale miracolosa opera mi trovo di fronte. Risale al 2600 a.C., nata di 146 metri è oggi alta solo 139 metri, ha un lato di oltre 230 metri, è formata da 2,5 milioni, dico milioni, di blocchi di calcare da oltre un metro cubo ciascuno, squadrati e levigati a mano con l’ausilio di altre pietre più dure. Tempo di costruzione ipotizzato: 10 anni per costruire le rampe in terra e mattoni poi smantellate portate chissà dove, e altri 20 anni per erigere la piramide. Il tutto solo per custodire il sarcofago di un faraone oppure, come ipotizzano altri studiosi, per motivi più profondi quale l’affermazione di particolari credenze religiose? A questi appassionanti misteri logistici e organizzativi sono poi da aggiungere quelli astronomici, matematici ed anche esoterici dei quali cito a solo titolo di esempio: il corridoio di ingresso è rivolto verso il nord e la stella polare; la diagonale della base della piramide procede esattamente da nord-est a sud-ovest; i due cunicoli di aerazione che partono dalle due sale interne e salgono obliquamente verso l’esterno (ma furono costruiti durante la costruzione o al termine? E come?) sembra siano collegati ad una misteriosa religione delle stelle che vedrebbe quello che parte dalla camera del Re puntare verso le stelle della cintura di Orione, associata al dio Osiride, mentre quello che parte dalla camera della Regina puntare verso Sirio, la stella della dea Iside creando così una specie di percorso stellare che teneva uniti i due dei sposi. E infine, sempre per infittire ancora di più il mistero di queste costruzioni, un accenno alla disposizione apparentemente casuale delle circa ottanta piramidi sul territorio: molti ritengono infatti che sia stato seguito un preciso disegno unitario e citano le tra piramidi di Giza, per le quali viene ipotizzata una precisa riproduzione sulla terra delle tre stelle della cintura di Orione. Rimando ad un altro momento la soluzione di questi enigmi e arriviamo alla piramide di Cheope percorrendo a piedi una breve strada asfaltata costruita in mezzo alla zona desertica. Durante il percorso non mancano venditori abusivi di souvenir e di falsi reperti archeologici e cammellieri che ti invitano a salire sul loro dromedario o si offrono di posare per una foto. Arrivati ai piedi della piramide alzo lo sguardo che corre incredulo sino alla cima. Tocco con mano uno dei 2,5 milioni di blocchi di calcare. Faccio qualche foto sapendo già che non riuscirà comunque a dare l’idea di cosa ho davanti. Percorriamo un lato della piramide, quello orribilmente fiancheggiato da una moderna costruzione nella quale è visibile una barca solare. Guardo l’orologio: sono già passati oltre 30 minuti e il tempo accordatoci per motivi di scorta della polizia è di solo un’ora e mezzo. Come si può fare in così poco tempo??! Si rinuncia a vedere la barca, si rinuncia a visitare l’interno della piramide; si dà solo un’occhiata alle tante mastabe, tombe riservate ai funzionari rinvenute nei pressi della piramide; ci dirigiamo alla piramide di Kefren; rinunciamo ad arrivare a quella piccola di Micerino e infine scendiamo verso la Sfinge che se ne sta accucciata, proprio come a guardia, ai piedi della leggera altura delle piramidi. Anche qui ci troviamo di fronte ad uno dei misteri della storia e dell’arte e non possiamo non restare affascinati e sconcertati da questa enorme scultura ricavata direttamente dalla roccia del luogo, con la faccia di un faraone ( Cheope o Chefren?) alta 22 metri su un corpo leonino lungo 50 metri. Lo sguardo, fisso verso l’infinito, ha mantenuto tutto il suo mistero nonostante i gravi danni al naso irrimediabilmente provocati in segno di spregio dai conquistatori mamelucchi. Una nuova occhiata all’orologio ci ricorda che è ormai interamente consumato il tempo stabilito per la visita e allora, a malincuore, ci avviamo verso l’uscita passando attraverso la zona delle tombe dei funzionari, consapevoli che, per quanto bello sarà quello che vedremo nei giorni successivi, resteremo comunque e sempre con la voglia insoddisfatta di trascorrere ancora qualche ora, magari all’alba o al tramonto, in un lento e vago girovagare tra queste surreali costruzioni. Con una trentina di minuti di inevitabile ritardo che costringe Adriana a rivolgerci la prima e unica raccomandazione per il rispetto dell’orario, partiamo da Giza scortati da un’auto dell’esercito piena di soldati armati. Nel corso del trasferimento sino ad Asyut, dove pernotteremo e dove si verificano spesso scontri tra i copti e i fondamentalisti islamici, avremo un continuo cambio di scorta armata ogni 30/40 chilometri, passando dalla semplice auto al pick-up ricoperto da una casetta in legno con buco posteriore dal quale sporge minacciosa la canna di un kalashnikov, fino ad arrivare alla autoblinda con mitragliatrice in cima alla torretta! Noi facciamo finta di niente e ci godiamo il paesaggio egiziano. La strada, che fiancheggerà sino ad Assuan il corso del Nilo, passa in mezzo a una striscia di territorio interamente coltivata e attraversata da canali per l’irrigazione, larga poco più di un chilometro al termine della quale si intravede o si immagina l’arido e polveroso giallo del deserto. Facciamo una breve sosta a quel poco o niente che resta di Menfi, fondata nel 3100 dal re Menes e prima capitale dell’Antico Regno dopo l’avvenuta unificazione del Basso con l’Alto Egitto. Visitiamo il piccolo museo all’aperto dove ricordo una gigantesca statua in calcare di Ramses II distesa sulla schiena all’interno di un piccolo edificio e una grossa sfinge di alabastro del peso di ottanta tonnellate che vigila al centro del giardino. A circa 500 metri dal museo si trovano i pochi resti del tempio di Ptah, il potente dio creatore del mondo e di Menfi. Di nuovo in pulmino per raggiungere, leggermente spostato verso occidente, l’importante sito di Saqqara, un tempo necropoli di Menfi, dominato dalla mole della piramide a gradoni di Zoser costruita nel 2700 a.C. dal geniale architetto Imhotep. Molto probabilmente si tratta della piramide più antica e certamente la più antica costruzione monumentale della storia arrivata sino a noi. L’area archeologica di Saqqara, situata in pieno deserto al termine delle terre coltivate, è molto vasta e comprende circa 15 piramidi di varie dimensioni più o meno ben conservate, alcune mastabe di funzionari del re, 250 tombe private e i resti di alcuni templi e edifici tutti risalenti all’Antico Regno. Forse ancora più che nel sito di Giza, qui, aiutato dalla veduta di un deserto che dietro la piramide sembra non avere fine e soprattutto non disturbato dalla presenza di turisti e venditori, riesco a godere il fascino di queste antiche costruzioni. Prima di raggiungere la piramide si incontra la grande sala ipostila, della quale restano solo la parte bassa di 40 grosse colonne scolpite a fascio coperte da un moderno soffitto, che conduce in un grande cortile. Poi entriamo in una piccola casa a fianco della piramide, caratterizzata da antichissimi graffiti: si tratta delle incisioni per ricordo fatte da studiosi o turisti tebani del XII secolo a.C. E infine ecco la piramide di Zoser, circondata da resti di pietre cadute nei 47 secoli della sua esistenza dai 6 gradoni che la compongono: alta 62 metri, è costruita con blocchi di pietra calcarea molto più piccoli di quelli usati per le successive piramidi di Giza tanto da sembrare fatta di mattoncini di argilla. Vado avanti da solo sotto un sole luminoso che splende al centro di un cielo azzurro, attratto dalle distese di deserto di sabbia mista a terra che, mosse da un continuo alternarsi di piccole dune sembrano continuare sino all’infinito. Mi soffermo nel punto più alto di una duna e in lontananza, in mezzo al deserto, mi appaiono le sagome di tre piramidi. Non si tratta di quelle di Giza come in un primo momento avevo pensato ma di quelle, ben più piccole, di Abu Sir risalenti alla V dinastia. Ecco, vorrei poter arrivare sin laggiù, senza il pensiero del tempo, per vederle da vicino, toccarne le pietre, fotografarne le facce durante i mutamenti della luce alla ricerca di magiche prospettive. E invece continuo a camminare sulla cima della duna limitandomi a spaziare con il solo sguardo, che si sofferma curioso sui resti di mastabe, tombe, e altre costruzioni che non ho il tempo di identificare neppure con l’aiuto della mia Lonely Planet. Arrivo poi ad una grande mastaba dove un beduino mi invita ad entrare ma, vuoi per il solito maledetto timore dell’incerto vuoi per il tempo limitato a disposizione, rifiuto cortesemente e inizio il riavvicinamento verso la piramide di Zoser passando nei pressi dei resti della piramide di Uni e percorrendo la strada lastricata fiancheggiata dai resti di più di 200 mastaba fino a ritrovarmi vicino al punto di ritrovo del pulmino: la zona mi aveva talmente affascinato che mancavo solo io per poter riprendere il viaggio! Prima di lasciare definitivamente Saqqara ci fermiamo a visitare la tomba di Mereruka composta da 31 camere con pareti interamente coperte da iscrizioni e da eleganti incisioni raffiguranti una serie di scene della vita del proprietario della tomba e di sua moglie. Questi rilievi, come tutti i rilievi egizi in interni, sono solo leggermente incisi e non colpiscono direttamente l’occhio, concedendosi e rivelandosi solo a chi sappia ammirarli con pazienza, lasciandosi prendere dall’armonia delle linee. E infatti mentre osservo le scene di caccia e di pesca, la grande varietà di animali e di pesci raffigurati, le processioni di uomini che vanno ad onorare il proprietario, la mia osservazione si fa piano piano sempre più attenta e comincio a leggere e a soffermarmi sui particolari, scoprendo dettagli curiosi e interessanti e soprattutto innamorandomi dell’armonia e dell’eleganza delle linee. Sono proprio queste le cose che mi affascinano di più: sono le tombe, i templi, i reperti, i disegni, le incisioni considerati di secondaria importanza che non si vedono riprodotti su libri e riviste e che, quando ce li troviamo davanti, abbiamo l’impressione di scoprire. Riprendiamo il viaggio verso sud sull’unica strada che, attraversando campi interamente coltivati con il solo aiuto di asini e buoi, costeggia come sempre il corso del Nilo. Facciamo una breve sosta a Beni Suef dove, in un mercato lungo la strada, accompagnati passo per passo da un paio di soldati con mitra, acquistiamo frutta e acqua minerale . C’è un discreto movimento di uomini che stanno aspettando l’arrivo di alcuni furgoni. Le donne, pur a volto scoperto, sono tutte vestite in maniera tradizionale, con lunghe gonne e capo rigorosamente coperto da una mantella che scende sino alla vita. Dal finestrino del pulmino osservo e resto con la voglia di fotografare, decine di immagini di uomini con galabiyya bianca, grigia o celeste completata da una specie di turbante bianco, che si armonizza elegantemente con l’ambiente intorno a loro, fatto dalle solite casette di fango cotto al sole. E così per donne e bambini radunati in cerchio sulla povera aia di una casa, contadini che lentamente, cavalcando un asino sul ciglio della strada o al bordo di un campo, stanno facendo ritorno a casa prima del tramonto del sole, uomini che giocano a domino o a backgammon seduti ai tavoli di un bar fumando il narghilè e infine gli instancabili asinelli quasi sommersi da incredibili carichi più grossi di loro. Tra continui cambi di scorta e un mega-ingorgo di camion, auto, carrozze e carretti vari nel quale ci troviamo coinvolti nell’attraversamento della cittadina di Al-Minya e dal quale usciamo grazie all’intervento della nostra scorta, arriviamo poco prima delle ventidue alla cittadina di Asyut dove resteremo solo per una notte. Anzi, trattandosi di zona calda per il problema della lotta tra copti e fondamentalisti islamici, ceniamo in albergo senza uscire e per fare una telefonata all’albergo di fronte veniamo addirittura scortati da un poliziotto armato.

Continua

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