DIARIO DI VIAGGIO IN EGITTO

di Mauro Morelli
7/10

VERSO IL MAR ROSSO Lunedì mattina alle 7.30 lasciamo Assuan per risalire il corso del Nilo sino a Qena da dove prenderemo la strada verso il mar Rosso. Ancora una volta osservo in silenzio il tipico paesaggio egiziano fatto di verdi campi coltivati intorno alle due sponde del Nilo, nei quali tante piccole figurine di uomini e donne stanno lavorando aiutati dagli instancabili asinelli. Non mi stanco degli ormai consueti piccoli paesetti di fango, qualche volta anche intonacati a calce o colorati a tinte vivaci, animati dalla presenza di uomini in galabiyya bianca o grigia che, in piedi o seduti, a lavorare o a fumare, da soli o in gruppo, si armonizzano così bene con l’ambiente intorno, da sollecitarmi una serie continua di scatti fotografici destinati purtroppo a restare solo immaginati. Così come per le tante deliziose figurine di donne vestite completamente di nero che, nello svolgimento dei loro lavori domestici, disegnano magnifiche silhouette sul solito sfondo ocra. E poi cimiteri musulmani fatti di semplici sassi infilati nel terreno o al più da nude e rustiche lastre di pietra che coprono le tombe, tutto sempre assolutamente anonimo senza la minima presenza di scritte o fiori. Mi viene da pensare come tutto ciò che mi passa davanti sia incredibilmente identico, se non fosse per qualche cadente palo della luce o per qualche comunque rara antenna televisiva, a quello che altri viaggiatori avranno veduto due o trecento anni fa e anche prima. Qui tutto continua, sempre, senza mutamenti; la vita scorre uguale, giorno dopo giorno, anno dopo anno, a prescindere da cellulari o personal computer, da lavastoviglie elettroniche o da telecamere digitali, da Viagra o da Prozac. Chi è nel giusto? Facciamo una sosta a Luxor da dove ripartiamo nel primo pomeriggio, in carovana scortata dalla polizia. A Qena, dopo una settimana trascorsa sulle sue rive, lasciamo il Nilo e deviamo verso il mar Rosso. Ora il paesaggio cambia profondamente; la strada passa proprio attraverso un deserto sassoso, appena punteggiato qua e là da piccoli cespugli di tamerici e da altri ciuffi d’erba spinosa incredibilmente mangiata da alcuni dromedari al pascolo. Poi, dopo una breve sosta ad un punto di ristoro lungo la strada, cominciamo a vedere, prima in lontananza e poi sempre più vicina, una serie infinita di montagne rocciose colorate di rosso. La strada, dritta e asfaltata, è comoda ed il traffico è limitato a qualche camion che va verso il Nilo. Passiamo da Port Safaga sul mar Rosso e risaliamo la costa verso nord per una cinquantina di chilometri sino a Hurghada, mentre il sole si nasconde e riappare in un continuo gioco di luci dietro la catena delle montagne, rosse e affascinanti più che mai, che ci fiancheggia alla nostra sinistra. Quando ormai è buio arriviamo a Hurghada, dove, pur non credendo ai nostri occhi, scarichiamo tutte le valigie, sempre più ingombranti e pesanti, all’ingresso di un albergo favoloso: l’illusione dura poco perché alla reception ci dicono che non esiste nessuna prenotazione a nome nostro e che qualche chilometro più a nord, in località Sigala, c’è un altro hotel con lo stesso nome. Poco male; si ricarica tutto e, tra grosse risate, ci dirigiamo dove ci stanno aspettando. Hurghada era fino a pochi anni fa un semplice villaggio di pescatori; ora, grazie esclusivamente ai meravigliosi banchi di corallo e alle sue acque cristalline. è diventata una striscia ininterrotta di alberghi, residence, club, lunga una ventina di chilometri, che si estende lungo la costa e comprende i centri di Al-Ghardaka, Sigala e New Hurghada. Anonima cena in albergo, breve passeggiata nel centro di Sigala, costituito peraltro da una squallida strada fiancheggiata da negozi e locali senza colore, e poi a letto sperando che domani mattina il vento si sia calmato e il mare sia liscio. Martedì 16 marzo sveglia e occhiata fuori dalla finestra: tira vento e il pensiero corre subito al mare che immagino mosso. Tutti, tranne Franco che è un po’ nervoso o stanco, decidiamo ugualmente di partecipare alla prevista gita in barca alla barriera corallina. Andiamo al porticciolo e qui, armati di maschera e pinne, saliamo su un grosso motoscafo. Io, dapprima un po’ titubante, piano piano mi rendo conto che l’imbarcazione è abbastanza grossa da consentirci una navigazione tranquilla senza problemi di mal di mare e così, dopo pochi minuti, svanisce qualsiasi sensazione di timore e cominciamo a goderci una nuova giornata straordinaria Il saluto iniziale ce lo dà un delfino: appena entrati in mare aperto, si esibisce in due o tre salti proprio a fianco della nostra imbarcazione. Dopo poco più di un’ora di tranquilla navigazione il motoscafo getta l’ancora nei pressi di un isolotto: il mare sotto a noi è straordinario e tanti, nonostante l’acqua fredda, si fanno coraggio e si buttano con maschere e pinne. Anche Grazia e Valentina non sono da meno e solo io, dopo essermi infilato maschera e pinne, non trovo il coraggio di buttarmi. Pazienza! Dovrò contentarmi di immaginare lo spettacolo dei coralli e dei pesci tropicali attraverso i racconti degli altri. Valentina è entusiasta per aver veduto e fotografato una murena: purtroppo l’entusiasmo le fa perdere il controllo della macchina fotografica che le scivola dal braccio e va irrimediabilmente a fondo. Grazia vedendomi rimasto sul ponte del motoscafo cerca di convincermi a scendere in acqua, ma presto le prende freddo e torna a bordo. Eleonora e Dimitri invece faranno vedere a tutti di avere trovato il loro elemento naturale e si riveleranno come i migliori nuotatori del gruppo. Io, insieme a Debora e Matilde nemiche dell’acqua, mi consolo mangiando due porzioni di pesce fritto offertoci dall’equipaggio del motoscafo. Risaliti tutti a bordo, il motoscafo si sposta e approda vicino ad un isolotto con spiaggia: qui scendiamo tutti a terra e ci concediamo un’oretta di sole sdraiati sulla sabbia o chini alla ricerca di coralli e conchiglie. Poi ripartiamo concedendoci il lusso di far salire a bordo quattro turisti pisani che, arrivati con un altro motoscafo, erano stati dimenticati lì, sulla spiaggia: la loro imbarcazione era già partita e la nostra era ormai l’ultima a salpare. Poveri pisani, erano incazzati neri e completamente bagnati. Appena a bordo si qualificano subito come pisani; " non poteva essere altrimenti" , penso e mi scappa detto "io li avrei lasciati sull’isola per tutta la notte". "Sempre buoni i cugini livornesi!" la pronta e giusta replica del pisano. Facciamo una nuova sosta vicino ad un’altra barriera corallina e poi ritorniamo verso riva, per niente impressionati dal mare più agitato della mattina. Ritorno in albergo con sosta ad una pizzeria italiana per contentare chi di noi cominciava ad avvertire l’irresistibile richiamo della cucina di casa. Inevitabile delusione quando ci vediamo portare una margherita…..senza pomodoro: ma come si fa? Riposo, doccia e corsa in taxi fino al centro di Hurghada dove ceniamo allo Scruples: bel piatto di pesce con piccola aragosta e gamberoni. Anche Hurghada, come Sigala, con le sue file di negozi nati solo per il turismo, aperti su anonime strade dritte fiancheggiate da approssimativi edifici in cemento armato, non finiti e spesso addirittura con i tondini di ferro che spuntano dai piloni per eventuali future aggiunte di piani, non fa che confermarmi la sensazione di squallore vacanziero della peggiore qualità. Mercoledì 17 marzo sveglia alle tre, partenza in colonna scortata alle quattro con destinazione Sharm el-Sheik, situata sulla punta della penisola del Sinai e lontana circa 900 chilometri. Come se non bastasse sono previste anche due deviazioni per visita ad antichi monasteri cristiano-copti. Durata prevista del viaggio, circa 15 ore: siamo nelle mani del nostro autista che, per nostra fortuna, si rivela sempre più calmo e tranquillo e per niente impressionato dal lungo trasferimento odierno. Questo al contrario di alcuni componenti del gruppo che avrebbero fatto volentieri a meno di risalire la costa fino a Suez per poi ridiscendere verso Sharm optando per una traversata notturna del golfo di Suez in traghetto da Hurghada a Sharm; purtroppo per loro gli orari del traghetto non combinano con il nostro programma e quindi ci ritroviamo tutti quanti al completo sul pulmino. Alle 7.15 facciamo la prima deviazione per raggiungere l’antico monastero di San Paolo eretto nel IV secolo sulle alture del Jebel al-Galala, dove appunto Paolo visse per circa 90 anni. Purtroppo, data l’ora, troviamo tutto chiuso e dobbiamo contentarci di vagare in silenzio tra i suoi vicoletti deserti. Il complesso è circondato da una piccola cinta muraria, sulla quale sono addossate piccole abitazioni e una fortezza, e comprende un piccolo villaggio, una chiesa e due case per ospitare i pellegrini. Poi, non ancora perfettamente ripresi dalla dura levataccia del mattino, torniamo sulla strada principale che scorre dritta verso nord in mezzo ad una striscia di terreno desertico di tre chilometri, limitata a occidente dalle montagne e ad oriente dal mar Rosso. Alle 9 esatte, dopo aver deviato per una strada che si inerpica per una ventina di chilometri in mezzo a montagne color rosa, arriviamo al monastero di S.Antonio. Anche questo risale al IV secolo e venne costruito qui dai discepoli di S.Antonio. Quest’ultimo, ritiratosi da tempo a vivere come eremita nel deserto, decise poi di rifugiarsi in una grotta in prossimità del monastero dove morì all’età di 105 anni. Visitiamo il complesso, guidati da uno dei 25 monaci che attualmente vivono nel monastero dedicando la loro vita alla povertà, alla castità, all’obbedienza e alla preghiera. Vestito completamente di nero, con il capo coperto da una cuffia pure nera decorata con piccole croci bianche, ci descrive in buon inglese la storia del monastero e della chiesa. Anche qui, all’interno di una cinta muraria, si trovano una serie di chiesette, cappelle, dormitori, tutti colorati di giallo ocra in piena armonia con il paesaggio circostante, mentre, irrigati da una sorgente di acqua sotterranea, alcuni orticelli e alberi di olivo che sorgono al centro del complesso danno un piacevole tocco di verde e di freschezza. Al termine della visita guidata ci viene gentilmente offerto un bicchiere di tè caldo.

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