Africa
 

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"L'essere o l'avere"
di Roberto Scarafia

Accadde il 20 marzo del 99, locale estate, la stagione delle piogge era finalmente arrivata.
Non esiste in Namibia un servizio meteorologico che ti informi meticolosamente di piovaschi o di grosse perturbazioni in arrivo, ciò che ti comunicano per radio o televisione viene espresso sempre in possibilità a livello percentuale. Quello che deprime di tali annunci consiste nel fatto che le probabilità non superano mai il 50 %. Deve essere frustrante leggere questi bollettini alla TV locale, lo si capisce dalla faccia sconsolata del presentatore che in tre anni non ha mai mutato espressione, non cambiando mai la tipologia di notizie da comunicare. Inoltre non è detto che la riserva sia così fortunata da ricevere della pioggia, anche se il cielo si mostra plumbeo o le nuvole sono così basse da lambire le cime dei pochi alberi presenti in questo angolo di terra. Un paio di branchi di gnu dalla coda bianca avevano già partorito i piccoli. Questo è il più efficiente sistema meteo che si possa desiderare, infatti dopo due settimane il terreno, oramai riarso, era stato ristorato da un paio di scrosci d'acqua. Generalmente gli gnu partoriscono tutti insieme quando odorano l'umidità nell'aria, questo fatto offre maggiori possibilità di sopravvivenza ai piccoli, primo perché con l'imminente arrivo delle piogge si renderà disponibile del foraggio tenero e nutriente che li aiuterà a crescere più in fretta e più sani (il tutto per poter sfuggire con maggior probabilità di successo agli eventuali attacchi di predatori), secondo perché il "parto collettivo" diminuisce le probabilità che i piccoli, prede indifese, siano cacciati giorno dopo giorno, nel momento di maggior vulnerabilità.
Nel passato una parte di loro era sacrificata al principio delle selezione naturale, ora, essendo stati sfortunatamente eliminati nei dintorni quasi tutti i potenziali predatori, è solo l'istinto ancestrale che li spinge a questo atto in comunione.

29 marzo '99. Avevamo sulla riserva un gruppo di otto turisti provenienti dalla Germania, erano arrivati al tramonto del giorno prima, dopo un viaggio di trasferimento dal deserto del Namib di circa 300 km. su strada sterrata, un errore di programmazione avevano detto loro. Nel tragitto per raggiungere la casa avevano osservato una quantità di animali anomala vista l'inospitalità del terreno, cosicché dopocena avevano richiesto per il giorno dopo un game drive.
La mattina successiva, appena il sole aveva riscaldato un attimo l'aria frizzante dei 1.850 Mt. di altitudine della riserva, eravamo saliti sul pick-up adibito a tale scopo ed avevamo iniziato un breve giro. Vedemmo dopo poco un discreto numero di antilopi di varie specie e nelle vicinanze di uno dei punti d'acqua stavano abbeverandosi un branco di femmine e di piccoli di gnu dalla coda bianca.
Il nostro arrivo le innervosì più del solito dato che c'erano i piccoli i quali però non avevano più difficoltà a seguire gli adulti ad un'andatura sostenuta o al galoppo. Iniziarono ad allontanarsi lentamente e non notai che una delle femmine era leggermente titubante. Ci avvicinammo al punto d'acqua per vedere se oltre agli gnu, oramai lontani, ci fosse qualche uccello o qualche tartaruga d'acqua. Stavo già allontanandomi per raggiungere un altro punto da dove si sarebbero potuti osservare con una certa facilità dei Kudu, quando uno degli ospiti mi informò che forse cºera un animale deceduto non molto lontano dal punto dºacqua.
Spensi il motore e mi avviai spedito a piedi in direzione di quello che appariva come un sasso si colore leggermente più scuro rispetto al terreno circostante.
Fu necessario arrivare  fino a qualche metro per capire che non era un sasso, ma un piccolo di gnu dalla coda bianca, che non era morto, ma vivo e vegeto ed era stato probabilmente partorito durante la notte, in notevole ritardo rispetto agli altri.
Mi guardai intorno, alla ricerca della madre e verificare che non fosse stato abbandonato, sia per la mia incolumità personale, non è raro che le madri di questa specie attacchino a calci e cornate chi potrebbe mettere a repentaglio l'incolumità del piccolo.
Era là, ad un centinaio di metri, nervosa, ed accennava a partire alla carica da un momento all'altro. Intanto il piccolo aveva tirato su il capo e mi guardava ed annusava, non aveva ancora maturato la minima esperienza per capire se fossi pericoloso o no. Io al contrario avevo paura, paura per lui. Era ferito? Era debole? Aveva forse qualche difetto genetico? Mentre queste domande mi attraversavano la mente non seppi resistere alla tentazione di toccarlo. Sembra strano, ma non capita spesso di avere un contatto fisico con degli animali selvatici, pur vivendo tra di loro intere giornate. Alla seconda carezza i miei dubbi furono sciolti, il piccolo si alzò incerto prima su due gambe poi su tutte e quattro e continuò a guardarmi emettendo un paio di muggiti.
L'Avere è una gran brutta bestia, si insinua subdola nei momenti più puri, ti tenta piegando i sentimenti più nobili ad un fatale compromesso con la scusante che quanto fai di male ora è in funzione di qualcosa di buono nel futuro.
L'Avere si insinuò nella mia mente nel momento in cui realizzai che il piccolo era sano e presto sarebbe corso via, nellº attimo in cui compresi che un esperienza del genere non si sarebbe ripetuta facilmente.
Chissà se gli animali percepiscono tali pensieri, o gli involontari sottili cambiamenti di comportamento in chi gli sta di fronte, quello che si verificò immediatamente dopo fu comunque la cosa più naturale, più giusta e al momento meno desiderata.
Il piccolo si voltò e corse verso la madre. Rimasi lì a guardarli mentre si ricongiungevano, allontanandosi. Mi rialzai da quella che si può considerare una posizione simile a quella tenuta dai boscimani, con i muscoli leggermente intorpiditi, ricordandomi che un centinaio di metri più in là c'erano 8 persone che mi stavano aspettando, che avevano filmato, fotografato e mentre mi avviavo sorridente verso di loro pensavo che... solo io avevo egoisticamente "vissuto".