Accadde il 20 marzo del 99, locale estate, la stagione delle piogge
era finalmente arrivata.
Non esiste in Namibia un servizio meteorologico che ti informi meticolosamente
di piovaschi o di grosse perturbazioni in arrivo, ciò che ti comunicano
per radio o televisione viene espresso sempre in possibilità a livello
percentuale. Quello che deprime di tali annunci consiste nel fatto
che le probabilità non superano mai il 50 %. Deve essere frustrante
leggere questi bollettini alla TV locale, lo si capisce dalla faccia sconsolata
del presentatore che in tre anni non ha mai mutato espressione, non cambiando
mai la tipologia di notizie da comunicare. Inoltre non è detto che
la riserva sia così fortunata da ricevere della pioggia, anche se
il cielo si mostra plumbeo o le nuvole sono così basse da lambire
le cime dei pochi alberi presenti in questo angolo di terra. Un paio di
branchi di gnu dalla coda bianca avevano già partorito i piccoli.
Questo è il più efficiente sistema meteo che si possa desiderare,
infatti dopo due settimane il terreno, oramai riarso, era stato ristorato
da un paio di scrosci d'acqua. Generalmente gli gnu partoriscono tutti
insieme quando odorano l'umidità nell'aria, questo fatto offre maggiori
possibilità di sopravvivenza ai piccoli, primo perché con
l'imminente arrivo delle piogge si renderà disponibile del foraggio
tenero e nutriente che li aiuterà a crescere più in fretta
e più sani (il tutto per poter sfuggire con maggior probabilità
di successo agli eventuali attacchi di predatori), secondo perché
il "parto collettivo" diminuisce le probabilità che i piccoli, prede
indifese, siano cacciati giorno dopo giorno, nel momento di maggior vulnerabilità.
Nel passato una parte di loro era sacrificata al principio delle selezione
naturale, ora, essendo stati sfortunatamente eliminati nei dintorni quasi
tutti i potenziali predatori, è solo l'istinto ancestrale che li
spinge a questo atto in comunione.
29 marzo
'99.
Avevamo sulla riserva un gruppo di otto turisti provenienti dalla
Germania, erano arrivati al tramonto del giorno prima, dopo
un viaggio di trasferimento dal deserto del Namib di circa 300 km.
su strada sterrata, un errore di programmazione avevano detto loro.
Nel tragitto per raggiungere la casa avevano osservato una quantità
di animali anomala vista l'inospitalità del terreno, cosicché
dopocena avevano richiesto per il giorno dopo un game drive.
La mattina successiva, appena il sole aveva riscaldato un attimo
l'aria frizzante dei 1.850 Mt. di altitudine della riserva, eravamo
saliti sul pick-up adibito a tale scopo ed avevamo iniziato un breve
giro. Vedemmo dopo poco un discreto numero di antilopi di varie
specie e nelle vicinanze di uno dei punti d'acqua stavano abbeverandosi
un branco di femmine e di piccoli di gnu dalla coda bianca.
Il nostro arrivo le innervosì più del solito dato
che c'erano i piccoli i quali però non avevano più difficoltà
a seguire gli adulti ad un'andatura sostenuta o al galoppo. Iniziarono
ad allontanarsi lentamente e non notai che una delle femmine era
leggermente titubante. Ci avvicinammo al punto d'acqua per vedere
se oltre agli gnu, oramai lontani, ci fosse qualche uccello o qualche
tartaruga d'acqua. Stavo già allontanandomi per raggiungere
un altro punto da dove si sarebbero potuti osservare con una certa
facilità dei Kudu, quando uno degli ospiti mi informò
che forse cºera un animale deceduto non molto lontano dal punto
dºacqua.
Spensi il motore e mi avviai spedito a piedi in direzione di quello
che appariva come un sasso si colore leggermente più scuro
rispetto al terreno circostante.
Fu necessario arrivare fino a
qualche metro per capire che non era un sasso, ma un piccolo di
gnu dalla coda bianca, che non era morto, ma vivo e vegeto ed era
stato probabilmente partorito durante la notte, in notevole ritardo
rispetto agli altri.
Mi guardai intorno, alla ricerca della madre e verificare che non
fosse stato abbandonato, sia per la mia incolumità personale,
non è raro che le madri di questa specie attacchino a calci
e cornate chi potrebbe mettere a repentaglio l'incolumità
del piccolo.
Era là, ad un centinaio di metri, nervosa, ed accennava a
partire alla carica da un momento all'altro. Intanto il piccolo
aveva tirato su il capo e mi guardava ed annusava, non aveva ancora
maturato la minima esperienza per capire se fossi pericoloso o no.
Io al contrario avevo paura, paura per lui. Era ferito? Era debole?
Aveva forse qualche difetto genetico? Mentre queste domande mi attraversavano
la mente non seppi resistere alla tentazione di toccarlo. Sembra
strano, ma non capita spesso di avere un contatto fisico con degli
animali selvatici, pur vivendo tra di loro intere giornate. Alla
seconda carezza i miei dubbi furono sciolti, il piccolo si alzò
incerto prima su due gambe poi su tutte e quattro e continuò
a guardarmi emettendo un paio di muggiti.
L'Avere è una gran brutta bestia,
si insinua subdola nei momenti più puri, ti tenta piegando
i sentimenti più nobili ad un fatale compromesso con la scusante
che quanto fai di male ora è in funzione di qualcosa di buono
nel futuro.
L'Avere si insinuò nella mia mente nel momento in cui realizzai
che il piccolo era sano e presto sarebbe corso via, nellº attimo
in cui compresi che un esperienza del genere non si sarebbe ripetuta
facilmente.
Chissà se gli animali percepiscono tali pensieri, o gli involontari
sottili cambiamenti di comportamento in chi gli sta di fronte, quello
che si verificò immediatamente dopo fu comunque la cosa più
naturale, più giusta e al momento meno desiderata.
Il piccolo si voltò e corse verso la madre. Rimasi lì
a guardarli mentre si ricongiungevano, allontanandosi. Mi rialzai
da quella che si può considerare una posizione simile a quella
tenuta dai boscimani, con i muscoli leggermente intorpiditi, ricordandomi
che un centinaio di metri più in là c'erano 8 persone
che mi stavano aspettando, che avevano filmato, fotografato e mentre
mi avviavo sorridente verso di loro pensavo che... solo io avevo
egoisticamente "vissuto".
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