Etiopia

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di Flaming June


Il mattino seguente siamo di nuovo in viaggio, 120 km per arrivare a Shashemene, passaggio obbligato per tutti coloro che attraversano il paese da nord a sud da est a ovest. Cittadina orrenda, caotica e polverosa dove ci sono più officine che case. Ci fermiamo per fare rifornimento e per comprare un po' di frutta, con gli occhi sempre aperti però, perchè nel giro di due secondi ti portano via di tutto, dallo specchietto della macchina, alle cinghie dei borsoni...qualsiasi cosa possa vagamente tornare utile in questo grande mercato del riciclo. Notiamo, abbastanza straniti, la presenza di numerosissimi Rasta africani ma anche molti bianchi...a 2 km c'è infatti un grande villaggio chiamato "Jamaika" che ospita la più grande comunità di Rastafariani di tutta l'Africa. A Shashemene lasciamo la direzione sud e per una pista sterrata che corre verso est, verso i Monti Bale e il Bale Mountain Park, dove saliremo fino a 4.300 mt di quota. La deviazione ci prende due giorni ma assolutamente ne vale la pena. Il paesaggio è infatti di rara bellezza: la vegetazione lussureggiante avvolge tutto; le capanne circolari sono disseminate qua e là fra le dolci onde verdi; le nuvolette di nebbia si confondono col fumo che si alza dai tetti di paglia: il silenzio e il cielo languido sfumano questo paesaggio che ci appare incantato e fuori dal tempo.

...quasi cominci a dubitare che esista davvero, magari lo stai solo pensando... e invece no, esiste, ed è lì da sempre. Procediamo piano e improvvisamente taciturni, forse per paura che il rumore o una inutile parola possano interrompere questa magia.
Non incontriamo altre macchine in transito, e quando ci fermiamo uomini e donne lasciano il loro fare quotidiano e si avvicinano, timidi e gentili, per chiederci dove andiamo, da dove veniamo... quando ripartiamo ci salutano in un sussurro, e tornano alla loro quotidianetà. C'è una tale grazia in questi gesti che uno strano senso di beatitudine sembra aleggiare a mezz'aria. E' inconsueta quanto inaspettata questa sensazione di pace. L' Africa mi ha abituata ad accoglienze ben più... rumorose! Mani, braccia, occhi, pelle, voci, odori... tutto moltiplicato all' ennesima potenza... un tale turbinio di vita che è impossibile non restarne sopraffatti. Quella tempesta di emozioni te la porti dentro fino a casa, ti resta come appiccicata addosso per molto tempo, fino a quando non affievolisce e diventa languore e nostalgia, e allora capisci che è tempo di tornare in Africa.
Tornando all' Altopiano... la sensazione è quella di essere nel regno della pace e dell'armonia, malgrado l'Etiopia sia uno dei paesi più poveri del mondo.
Gli etiopi non hanno tratti somatici negroidi ma nubiani: pelle dorata e lineamenti dolci e delicati. I tratti gentili di questi volti rispecchiano perfettamente il temperamento di questo popolo.
Visitiamo il Bale Mountains Park dove passeggiando riusciamo a vedere il Nyala e la Volpe del Simnien, entrambe specie endemiche del paese. Credo tuttavia non sia questo il motivo che vale la visita ai Monti Bale, quanto piuttosto lo struggimento del suo paesaggio, la sua gente leggiadra, i bambini giocosi che ci salutano gridando il loro personalissimo ciao che fa " iù - iù"!
La sera ci fermiamo a dormire a Goba, piccolo centro dove ci sono due hotel e una banca. Naturalmente ci vengono serviti i piatti della cucina etiope, che io mi limito ad osservare visto che per me è tutto troppo piaccante. Si tratta principalmente di stufato di carne ( Wot ) o di pesce d'acqua dolce ( Asa Wot ) preparati con l'incendiaria salsa Berberè, intruglio diabolico ottenuto con ben 16 spezie. A queste pietanze si accompagnano una serie di salse e pappette tutte molto colorate e altrettanto saporite, generalmente poste a mucchietto su una enorme crepe ( 40 cm di diametro! ) adagiata su un grande piatto di latta. Si tratta dell' Ingera, una specie di pane fatto con latte acido e un cereale indigeno che è la base di ogni pasto. Spessa e spugnosa, di colore incerto fra il grigio topo e il color carne, è la cosa meno appetitosa che io abbia mai visto. La servono anche arrotolata in strisce che abbiamo necessariamente soprannominato "fasce elastiche del dottor Sholl's"!!
La mattina successiva ci spostiamo ancora 120 km ad est per raggiungere le Grotte di Sof Omar, 16 km di grotte sotterranee che nei millenni il fiume Web ha scavato nelle montagne di pietra calcarea. Nel minuscolo villaggio adiacente prendiamo una guida, necessaria fra i meandri spesso totalmente bui delle caverne. A parte qualche scorcio pure bello, la visita alle Grotte di Sof Omar mi ha lasciato abbastanza indifferente, con qualche punta di fastidio per il miliardo di pipistrelli ciondolanti dalle pareti a volta! Da Sof Omar ritorniamo a Shashemene, attraverso la pista sterrata e limacciosa che avevamo percorso all'andata. La stessa aria bagnata, le stesse capanne sparse nel verde, gli stessi bambini allegri, le facce e le voci più dolci che abbia mai visto.

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