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A
Shashemene riprendiamo la direzione sud per giungere in serata
ad Awasa, città di una immagginaria eppure fortemente tangibile
frontiera fra l'Etiopia e la Valle dell'Omo, che scopriremo presto
essere un mondo a sè stante, diverso e lontanissimo dal
resto del paese. Prima di ripartire facciamo un bel rifornimento
di acqua, frutta e verdura, visto che per i prossimi 14 giorni
resteremo lontani da centri abitati, hotel, negozi, ristoranti.
Ed ecco che nel giro di un centinaio di km ci ritroviamo catapultati
nell' Africa più selvaggia e primordiale, dove la natura
e gli uomini parlano ancora una lingua comune, quella del primo
uomo. Non è esattamente così, oggi non c'è
più terra inviolata, ma è senz'altro un mondo più
vicino a quello delle origini che al nostro. La
terra si fa rossissima, la vegetazione si dirada, il sole che
illanguidiva il cielo dell'altopiano si fa temerario e sfavilla
imperituro nel cielo immobile e senza fine.
L'incanto
dei piccoli villaggi avvolti nella nebbia scompare d'improvviso:
siamo nella Valle dell'Omo. Qui non si parla più l'amarico
ma un crogiolo di idiomi risalenti nel tempo. Qui il Cristianesimo
e l' Islam non sono praticate perchè l' Animismo regola
ancora e sempre ogni azione quotidiana. I tratti somatici e il
colore della pelle si fanno via via più marcati. Qui non
avremo più la certezza di essere accolti con entusiasmo
e benevolenza, anzi ci confronteremo quasi sempre con una diffidenza
coriacea e fortemente radicata che del resto ha consentito a queste
tribù di conservare quanto più possibile inalterata
la loro tradizione culturale. Da Awasa in poi l' asfalto ha lasciato
il posto a una pista sterrata che fra buche, sassi, tratti sabbiosi
e solchi profondi che squarciano il terreno, corre, in un sali
scendi tortuoso, fra acacie a tetto e enormi formicai che sembrano
castelli di terra rossa.
Facciamo il campo nei pressi di El Sod, e il mattino seguente
andiamo a vedere il piccolo lago salato che si è formato
nel suo cratere e dal quale si ricava un sale nero di grande pregio.
Scendiamo a piedi fino al lago ( che dall'alto ci appare come
una grande pozzanghera di petrolio ) lungo i ripidi e stretti
fianchi del cratere, dove incrociamo diversi asini che portano
sù le pesanti bisacce di fango nero. Risalire sotto il
sole, 4 - 5 km, è massacrante! Omini che si tuffano nell'acqua
per prendere una manata di poltiglia scura... assolutamente non
vale tanta fatica! Arrivo alle macchine che ho le visioni... quando
mi riprendo ho però modo di osservare gli abitanti del
piccolissimo villaggio sorto intorno al lago. Si tratta dei Borama,
etnia nomade che da molti anni ha dovuto lasciare il basso Omo
perchè sopraffatta da etnie ben più aggressive.
I tratti non sono ancora tipicamente negroidi, ma già più
marcati rispetto a quelli degli etiopi dell'altopiano. Le donne
indossano stoffe coloratissime che portano alla maniera mussulmana;
è questa del resto l'unica etnia dell'Omo presso cui l'
Islam ha preso piede sull' Animismo, probabilmente perchè
questa zona rimane ancora abbastanza accessibile rispetto al basso
Omo. Si tratta comunque sempre di un Islam poco ortodosso, alla
maniera africana insomma: Corano e riti tradizionali si fondono
e convergono in una ritualità confusa e fantasiosa!
Riprendiamo
la strada verso sud e ci imbattiamo in un piccolo mercato Borama
che è una meraviglia di odori, voci, colori... le donne
coi loro foulard colorati, le zucche piene di latte ornate di
cuoio e conchiglie, i capelli splendidamente acconciati... le
merci sono poche e disposte grossolanamente su stracci e stuoie
che da terra fanno capolino: qualche frutto, verdure, sapone venduto
a peso, sacchetti di sale, qualche pesciolino affumicato... ma
c'è lo stesso una grande vitalità, come nei grandi
magazzini in questi giorni di festa. Proseguiamo
ancora in direzione sud-est, all'imbrunire ci fermiamo per fare
il campo.
prosegui
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