Etiopia

3/8

di Flaming June

A Shashemene riprendiamo la direzione sud per giungere in serata ad Awasa, città di una immagginaria eppure fortemente tangibile frontiera fra l'Etiopia e la Valle dell'Omo, che scopriremo presto essere un mondo a sè stante, diverso e lontanissimo dal resto del paese. Prima di ripartire facciamo un bel rifornimento di acqua, frutta e verdura, visto che per i prossimi 14 giorni resteremo lontani da centri abitati, hotel, negozi, ristoranti. Ed ecco che nel giro di un centinaio di km ci ritroviamo catapultati nell' Africa più selvaggia e primordiale, dove la natura e gli uomini parlano ancora una lingua comune, quella del primo uomo. Non è esattamente così, oggi non c'è più terra inviolata, ma è senz'altro un mondo più vicino a quello delle origini che al nostro. La terra si fa rossissima, la vegetazione si dirada, il sole che illanguidiva il cielo dell'altopiano si fa temerario e sfavilla imperituro nel cielo immobile e senza fine.

L'incanto dei piccoli villaggi avvolti nella nebbia scompare d'improvviso: siamo nella Valle dell'Omo. Qui non si parla più l'amarico ma un crogiolo di idiomi risalenti nel tempo. Qui il Cristianesimo e l' Islam non sono praticate perchè l' Animismo regola ancora e sempre ogni azione quotidiana. I tratti somatici e il colore della pelle si fanno via via più marcati. Qui non avremo più la certezza di essere accolti con entusiasmo e benevolenza, anzi ci confronteremo quasi sempre con una diffidenza coriacea e fortemente radicata che del resto ha consentito a queste tribù di conservare quanto più possibile inalterata la loro tradizione culturale. Da Awasa in poi l' asfalto ha lasciato il posto a una pista sterrata che fra buche, sassi, tratti sabbiosi e solchi profondi che squarciano il terreno, corre, in un sali scendi tortuoso, fra acacie a tetto e enormi formicai che sembrano castelli di terra rossa.
Facciamo il campo nei pressi di El Sod, e il mattino seguente andiamo a vedere il piccolo lago salato che si è formato nel suo cratere e dal quale si ricava un sale nero di grande pregio. Scendiamo a piedi fino al lago ( che dall'alto ci appare come una grande pozzanghera di petrolio ) lungo i ripidi e stretti fianchi del cratere, dove incrociamo diversi asini che portano sù le pesanti bisacce di fango nero. Risalire sotto il sole, 4 - 5 km, è massacrante! Omini che si tuffano nell'acqua per prendere una manata di poltiglia scura... assolutamente non vale tanta fatica! Arrivo alle macchine che ho le visioni... quando mi riprendo ho però modo di osservare gli abitanti del piccolissimo villaggio sorto intorno al lago. Si tratta dei Borama, etnia nomade che da molti anni ha dovuto lasciare il basso Omo perchè sopraffatta da etnie ben più aggressive. I tratti non sono ancora tipicamente negroidi, ma già più marcati rispetto a quelli degli etiopi dell'altopiano. Le donne indossano stoffe coloratissime che portano alla maniera mussulmana; è questa del resto l'unica etnia dell'Omo presso cui l' Islam ha preso piede sull' Animismo, probabilmente perchè questa zona rimane ancora abbastanza accessibile rispetto al basso Omo. Si tratta comunque sempre di un Islam poco ortodosso, alla maniera africana insomma: Corano e riti tradizionali si fondono e convergono in una ritualità confusa e fantasiosa!
Riprendiamo la strada verso sud e ci imbattiamo in un piccolo mercato Borama che è una meraviglia di odori, voci, colori... le donne coi loro foulard colorati, le zucche piene di latte ornate di cuoio e conchiglie, i capelli splendidamente acconciati... le merci sono poche e disposte grossolanamente su stracci e stuoie che da terra fanno capolino: qualche frutto, verdure, sapone venduto a peso, sacchetti di sale, qualche pesciolino affumicato... ma c'è lo stesso una grande vitalità, come nei grandi magazzini in questi giorni di festa. Proseguiamo ancora in direzione sud-est, all'imbrunire ci fermiamo per fare il campo.

 

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