Etiopia

4/8

di Flaming June

Ripartiamo di buon'ora ed entriamo in territorio Konso, etnia che vive in grandi villaggi e che è famosa per la tradizione di erigere bellissime statue lignee, i Waga Konso, alla morte di un componente importante della comunità. Purtroppo la tradizione sta pian piano scomparendo per via dei numerosi furti dei Waga che vengono poi rivenduti ad Addis Abeba per diverse migliaia di dollari. Per poter ammirare i Waga siamo quindi costretti a lasciare la pista principale per raggiungere i villaggi più isolati dove ancora la tradizione resiste. Questo del resto sarà una costante ( e una complicanza ) durante tutto il viaggio: i villaggi più accessibili hanno già avuto a che fare col turismo e conseguentemente hanno codificato un comportamento il più elle volte detestabile: devi pagare una sorta di dazio per entrare nel villaggio, quasi sempre pagare per fotografare... è tutto un contrattare, una cosa che svilisce l' esperienza, che mortifica noi e loro, che impedisce un contatto sincero fondato innanzitutto sulla sana curiosità reciproca. La straordinarietà dei costumi di queste tribù ha infatti richiamato, intorno agli anni 80, l'attenzione ( prima che dei turisti ) di molti fotografi e documentaristi che hanno pagato in maniera sconsiderata e deleteria i loro reportage, creando in queste popolazioni il triste e ormai radicato fenomeno della commercializzazione dell'immagine. Presso alcuni di loro l'effetto è stato devastante, perchè ha rotto equilibri millenari spesso a favore della violenza: con i soldi infatti questa gente ci compra i kalashnicov, per tutto il resto vige tutt' oggi il baratto. Naturalmente i turisti gretti e ignoranti, semplicemente a caccia di avventura, hanno contribuito e contribuiscono a perpetuare il triste scambio: " 1 foto = 1 birr " , e in questa orrenda pratica si esaurisce ogni contatto.
Personalmente non pago mai le foto, nè distribuisco caramelle, soldi e quant' altro. E' il modo più superficiale, arbitrario e ingiusto di affrontare il problema della povertà, si può fare di meglio e soprattutto im maniera più incisiva, sul posto e anche da casa nostra.
Ho deviato il discorso, volevo piuttosto sottolineare che questo tipo di viaggio diventa davvero straordinario quando si lasciano la pista principale e i villaggi più accessibili, per raggiungere quelli più isolati, i soli dove è ancora possibile un approccio spontaneo e sincero con le popolazioni locali, e dove è ancora possibile incontrare l' Africa più vera e autantica, e non quel triste teatrino che tanto piace a noi turisti.
Nel tardo pomeriggio, costeggiando il confine col Kenya, arriviamo nel punto in cui l'Omo si riversa nel Lago Turkana : finalmente l'Omo, che da adesso risaliremo costeggiandolo a tratti sul versante orientale e a tratti su quello occidentale, attraversando i territori abitati dalle varie tribù. Facciamo i campi sulle sue rive, in punti però sufficientemente alti sì da evitare spicevoli visite: il fiume è infatti popolato da una nutritissima colonia di coccodrilli, enormi e più brutti del solito!
Le giornate si fanno molto faticose: fa' molto caldo e tuttavia bisogna stare coperti per proteggiersi dalle zanzare malariche che, in barba ai repellenti, ci molestano anche di giorno; le popolazioni locali non brillano certo per senso di ospitalità e gentilezza, bisogna quasi sempre impegnarsi in vere e proprie imprese diplomatiche!; le piste sono a dir poco massacranti e ogni giorno c'è un qualche problema meccanico in agguato....
... la sera siamo ridotti a statue di terracotta, i capelli un groviglio inestricabile... nel fiume ci sono i coccodrilli e allora ci si deve lavare con l' acqua di un catino... le serate torride trascorrono asserragliati in tenda a combattere battaglie perse in partenza con miliardi di zanzare e insetti vari. E tutte le notti ad allietare il nostro sonno un grido assordante di un animale inizialmente non identificato: scopriremo trattarsi di un rospo odioso dal gracidio assurdo! Così all' alba, in un balzo, siamo tutti in piedi e pronti a partire, ben lieti di porre fine alla nottata infernale. Ma giuro, ne vale la pena!

 

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