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Lasciati
i Mursi risaliamo l'ultimo tratto dell'Omo per raggiungere i Bumi.
Etnia in via di estinzione e fra le più aggrssive, in lotta
con quasi tutte le tribù della Valle. Tuttavia il nostro
approccio con i Bumi è stato giocoso e allegro, forse perchè
nei piccoli villaggi c'erano sopratutto adolescenti e bambini
che ci hanno accolto sempre con molto entusiasmo. Vivono di allevamento,
e questo spiega l'assenza degli adulti dai villaggi, uomini e
donne infatti sono impegnati nel pascolo del bestiame. Lasciamo
i Bumi, la Valle dell'Omo e le sue incredibili tribù. Riprendiamo
la strada verso l'altopiano e d'improvviso, così com'era
accaduto all'andata, tutto è cambiato: i colori, gli odori,
le facce.
Arriviamo
in serata ad Arba Minch, finalmente una doccia e un letto! La
mattina andiamo a Chencha, 2.800 mt, dove vivono i Dorzè.
La vegetazione torna imperiosa e lussureggiante, e il caldo che
ci aveva tramortito sulle polverose piste del sud è ormai
lontanissimo, anche se era solo ieri. Ritorna la sensazione di
quiete e d'incanto.
Chencha
si trova in cima a una pista scivilosa e impantanata per via della
pioggerellina costante, a 36 km da Arba Minch. I Dorzè
vivono quassù, e si dedicano alla coltivazione dell' Ensete
o "finto banano", dalla cui corteccia si ricava una fibra bianca
altamente proteica che può essere consumata, conservata
sotto terra in grossi panetti, anche nell'arco di 5 anni! E' tutto
ancora troppo recente e quindi in fase di collaudo: teniamo le
dita incrociate perchè l'ensete potrebbe tornare molto
utile nei periodi di carestia che purtroppo regolarmente martorizzano
l'Etiopia.
Particolarissime
le capanne dei Dorzè: molto grandi e alte fino a 15 mt,
hanno la forma ad alveare e vengono spostate sul territorio. Il
mercato di Chencha è praticamente un pantano, ma estremamente
interessante con il suo groviglio di cose e persone.
Per strada, avvolte nella nebbia, coi visi stravolti dalla fatica,
incontriamo tante donne anche anziane ( ma saranno veramente anziane?
) che, a piedi nudi nel fango, si incamminano verso i loro villaggi
sui Monti Guge, incurvate sotto il peso di fasci di sterpi, legna,
pani di ensete... malgrado l'evidente fatica ci salutano al nostro
passaggio con un sorriso semplice, dolcissimo e indimenticabile.
Ritorniamo
ad Arba Minch e ripartiamo per Addis Abeba, attraverso 600 km
di strada asfaltata che in qualche modo ci riporta alla realtà.
Visiatiamo
la capitale, che con le sue grandi stradi e il paesaggio verde
non è affatto infernale come invece spesso sono le capitali
terzomondiste. I musei sono piccoli ma molto interessanti, vengono
aperti in genere su richietsa dei visitatori!
Vado
a visitare un centro missionario gestito eroicamenete dai Salesiani,
ci sono i bambini orfani e quelli abbandonati perchè malati
o handicappati. Il centro è supportato dal VIS che da quel
giorno è il mio referente per un aiuto a questa terra martoriata
che tanto ho amato e che tanto amo.
Ritorno
a casa, con la sensazione di aver visitato non un paese ma due,
lontani ed estranei l'uno all'altro.
L' Etiopia
delle fierezza delle tribù guerriere, della terra rossa,
delle tradizioni ancestrali, del caldo torrido e delle mosche
tse-tse, dei corpi scultorei incisi dalle scarificazioni, dei
mercati vivacissimi ma troppo poveri di merci, del sonno funestato
dal gracidio assurdo di un rospo rompiscatole, del sorriso sfrontato
e malizioso delle " donne con la coda ".
E l'
Etiopia dei bambini festosi che ci salutano gridando il loro tenero
" iù - iù ", del sorriso timido dei grandi, del
verde brillante che avvolge ogni cosa nel suo abbraccio, delle
donne nelle nebbia piegate come punti interrogativi sotto fasci
di sterpi troppo pesanti, della fatica e del coraggio, della poesia
e dello struggimento dei paesaggi di rara bellezza, dell'incanto
e della quiete. Del tempo che scorre piano.
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