Etiopia

8/8

di Flaming June

Lasciati i Mursi risaliamo l'ultimo tratto dell'Omo per raggiungere i Bumi. Etnia in via di estinzione e fra le più aggrssive, in lotta con quasi tutte le tribù della Valle. Tuttavia il nostro approccio con i Bumi è stato giocoso e allegro, forse perchè nei piccoli villaggi c'erano sopratutto adolescenti e bambini che ci hanno accolto sempre con molto entusiasmo. Vivono di allevamento, e questo spiega l'assenza degli adulti dai villaggi, uomini e donne infatti sono impegnati nel pascolo del bestiame. Lasciamo i Bumi, la Valle dell'Omo e le sue incredibili tribù. Riprendiamo la strada verso l'altopiano e d'improvviso, così com'era accaduto all'andata, tutto è cambiato: i colori, gli odori, le facce.
Arriviamo in serata ad Arba Minch, finalmente una doccia e un letto! La mattina andiamo a Chencha, 2.800 mt, dove vivono i Dorzè. La vegetazione torna imperiosa e lussureggiante, e il caldo che ci aveva tramortito sulle polverose piste del sud è ormai lontanissimo, anche se era solo ieri. Ritorna la sensazione di quiete e d'incanto.
Chencha si trova in cima a una pista scivilosa e impantanata per via della pioggerellina costante, a 36 km da Arba Minch. I Dorzè vivono quassù, e si dedicano alla coltivazione dell' Ensete o "finto banano", dalla cui corteccia si ricava una fibra bianca altamente proteica che può essere consumata, conservata sotto terra in grossi panetti, anche nell'arco di 5 anni! E' tutto ancora troppo recente e quindi in fase di collaudo: teniamo le dita incrociate perchè l'ensete potrebbe tornare molto utile nei periodi di carestia che purtroppo regolarmente martorizzano l'Etiopia.
Particolarissime le capanne dei Dorzè: molto grandi e alte fino a 15 mt, hanno la forma ad alveare e vengono spostate sul territorio. Il mercato di Chencha è praticamente un pantano, ma estremamente interessante con il suo groviglio di cose e persone.
Per strada, avvolte nella nebbia, coi visi stravolti dalla fatica, incontriamo tante donne anche anziane ( ma saranno veramente anziane? ) che, a piedi nudi nel fango, si incamminano verso i loro villaggi sui Monti Guge, incurvate sotto il peso di fasci di sterpi, legna, pani di ensete... malgrado l'evidente fatica ci salutano al nostro passaggio con un sorriso semplice, dolcissimo e indimenticabile. Ritorniamo ad Arba Minch e ripartiamo per Addis Abeba, attraverso 600 km di strada asfaltata che in qualche modo ci riporta alla realtà.
Visiatiamo la capitale, che con le sue grandi stradi e il paesaggio verde non è affatto infernale come invece spesso sono le capitali terzomondiste. I musei sono piccoli ma molto interessanti, vengono aperti in genere su richietsa dei visitatori!
Vado a visitare un centro missionario gestito eroicamenete dai Salesiani, ci sono i bambini orfani e quelli abbandonati perchè malati o handicappati. Il centro è supportato dal VIS che da quel giorno è il mio referente per un aiuto a questa terra martoriata che tanto ho amato e che tanto amo.
Ritorno a casa, con la sensazione di aver visitato non un paese ma due, lontani ed estranei l'uno all'altro.
L' Etiopia delle fierezza delle tribù guerriere, della terra rossa, delle tradizioni ancestrali, del caldo torrido e delle mosche tse-tse, dei corpi scultorei incisi dalle scarificazioni, dei mercati vivacissimi ma troppo poveri di merci, del sonno funestato dal gracidio assurdo di un rospo rompiscatole, del sorriso sfrontato e malizioso delle " donne con la coda ".
E l' Etiopia dei bambini festosi che ci salutano gridando il loro tenero " iù - iù ", del sorriso timido dei grandi, del verde brillante che avvolge ogni cosa nel suo abbraccio, delle donne nelle nebbia piegate come punti interrogativi sotto fasci di sterpi troppo pesanti, della fatica e del coraggio, della poesia e dello struggimento dei paesaggi di rara bellezza, dell'incanto e della quiete. Del tempo che scorre piano.

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