Libia: tra le sabbie del Sahara (4/6)

di Claudio Perotti claudiomail@tiscali.it

Venerdì 21/03/2003: Entriamo nell’Acacus, è un’altra limpidissima mattinata, e cominciamo a notare gli straordinari panorami formati da rocce e sabbia, particolarità di questo altopiano. Incontriamo un presidio militare, dove dei gentilissimi soldati ci offrono del te alla menta. Questo check-point è costituito da baracche costruite un po’ in lamiera un po’ in murature e legno dove ci saranno non più di 6 o 7 militari. Vediamo anche un paio di cammion un po’ scassati, su uno dei quali spunta una mitragliatrice. Addentratisi nell’Acacus, inizia la rassegna delle meraviglie che questo lembo di mondo regala. Gli archi naturali, tra i quali primeggia per imponenza l’arco Afis Sigiar, alto 150 metri, i pinnacoli di roccia, la famosa duna "del non ritorno", le pitture rupestri vecchie di circa 10.000 anni, e poi i panorami……l’alternarsi di sabbia rossatra e le rocce nere, tipiche dell’Acacus, generano stupefacenti scenari, con combinazioni policrome che sembrano quasi irreali. Lingue di sabbia che si insinuano nei crepacci scuri delle rocce, cumuli di sabbia che sembrano essere appoggiati per miracolo alle pareti scoscese dei crinali rocciosi. Poi l’effetto cromatico, che varia al variare dell’ora e dell’esposizione al sole. Sul nostro tragitto tocchiamo l’unico pozzo dell’Acacus, al quale attingono tutti coloro che passano da quelle parti e i Touareg che vivono nella zona. A proposito di Touareg, proprio qui ne incontriamo uno che ci mostra delle punte di frecce trovate nella zona. Per gli esperti Touareg è facile trovare questi affascinanti strumenti di un tempo oramai perduto, quando anche questi altopiani erano delle grandi praterie, ricche di animali e di vita. Le vendono ai turisti come suovenir. Anche oggi facciamo il campo in uno splendido punto, riparati dietro e di fianco da dune di sabbia e pinnacoli rocciosi e davanti a noi una vista mozzafiato. Prima notte senza un alito di vento.

Sabato 22/03/2003: Questa mattina ci aspetta una sorpresa: tutt’intorno al campo e alle tende, notiamo numerosissime orme. Si tratta del fennec, ci informano i nostri autisti, la famosa volpe del deserto. Di medesime dimensioni delle volpi "nostrane", hanno lunghe orecchie a punta e una coda meno voluminosa, rispetto alle cugine europee. Sono animali notturni molto diffidenti e difficili da vedere, si avvicinano ai campi solo la notte, alla ricerca degli avanzi di cibo. Oggi è una carrellata di pitture rupestri, scene di caccia, animali, momenti di vita tribale….veramente interessanti. Facciamo visita ad un campo Touareg, composto da quattro o cinque capanne. Ci manteniamo a debita distanza, in quanto, ci dicono le nostre guide, sono molto schivi e non gradiscono contatti ravvicinati. Un Touareg leggermente più socievole è l’uomo che fu la guida del prof. Mori, l’archeologo italiano che alla fine degli anni ‘60 scoprì le pitture rupestri dell’Acacus. E’ molto vecchio, e vive ancora da queste parti, assieme ad altre due o tre famiglie Touareg. Facciamo da lui una breve sosta, ci mostra alcune fotografie dove è ritratto assieme al prof. Mori. Come consuetudine di tutti i viaggiatori che si spingono fin quaggiù, lasciamo un piccolo obolo e riprendiamo il tragitto. Lasciamo l’Acacus. Il paesaggio cambia. Non è più la commistione di sabbia e di rocce, ma solo sabbia! Sono le alte e maestose dune di Wan Caza. Anche quest’oggi montiamo il campo in un luogo straordinario, ai piedi di un’altissima duna. Questa sera ci facciamo un bella passeggiata notturna sulle dune a godere al meglio anche delle incredibili stellate che ogni notte si presentano ai nostri occhi.

Domenica 23/03/2003: Partiamo e il paesaggio ancora si trasforma, dune e sabbia diventano sempre più rare, fino a lasciare il posto a una vasta spianata ghiaiosa dove vediamo frequenti gruppi di spinosissime acacie. Stiamo attraversando il Messak Settafet. Il vento aumenta sempre più, la visibilità diminuisce. Esperienza già vissuta; è quello che temevamo: un’altra tempesta di sabbia. Ancor più violenta della prima, in quanto questa volta siamo costretti addirittura a stare fermi quasi tre ore, barricati dentro le Toyota. Non si vede né cielo né sole. Tutto diventa grigio-rossastro, viene a crearsi ancora quella sensazione di surreale, di impalpabile. Anche questa volta è necessario rivedere i piani. Siamo costretti a saltare la nostra meta, ossia le dune dell’Idehan Murzuq. Il campo nell’erg non è possibile, saremmo sommersi dalla sabbia. Urge trovare un luogo riparato. Non ci resta che raggiungere la zona del Methkandoush. Solo lì, sembra, possiamo trovare ricovero. Hadi, il capo guida decide di partire, nonostante la visibilità sia scarsissima ed infatti in un paio di occasioni ha perso la pista, ritrovandola però , fortunatamente, dopo pochi minuti. Un’altra bella tirata. A mano a mano ci si allontana dalla zona, il vento trasporta sempre meno sabbia, ma rimane implacabile. Verso il tardo pomeriggio siamo su un altopiano roccioso, brullo. Il vento è sempre fortissimo, ma fortunatamente non porta più sabbia. Siamo ad una delle estremità del trekking del Methkandoush. Fortunatamente ci sono dei rudimentali ripari fatti con pali di legno e foglie di palme. Non sono molto ma almeno contrastano la violenza del vento permettendoci, non senza fatica, di montare le tende.

Lunedì 24/03/2003: Dopo una notte passata sotto la tenda battuta quasi sempre dal vento, fortunatamente la mattina la situazione migliora. Il vento si è trasformato in brezza, per poi sparire completamente. Iniziamo il trekking lungo il corso del wadi Methkandoush. Questo anticamente era un corso d’acqua lungo il quale abbondavano insediamenti umani. Il percorso è lungo circa 12 chilometri e per buona parte di esso lungo le pareti rocciose che ne delimitano il letto, è facile trovare graffiti risalenti circa a 12.000 anni or sono, raffiguranti giraffe, coccodrilli, struzzi, rinoceronti, elefanti, antilopi ecc. inequivocabile testimonianza che in una lontana epoca, questo tratto di deserto era una savana popolata da animali. La camminata è molto piacevole, per nulla faticosa ed è simpatico aguzzare la vista per individuare tra le pareti rocciose quelle sulle quali sono raffigurati gli animali. In alcuni tratti acacie e sterpaglie si frappongono tra sabbia e rocce. Attenzione alle vipere, che, come ci informa correttamente la guida Lonely Planet, tra questi cespugli trovano riparo. Infatti il secondo (e fortunatamente ultimo) incontro con la pericolosa vipera cornuta, lo abbiamo avuto proprio qui. Al termine della camminata raggiungiamo il punto stabilito ove ci aspettano le jeep. Facciamo un breve spuntino a base di parmigiano e arance, prima di affrontare i 100 km che ci separano da Germa. Fino ad ora il tempo è stato buono, nell’ultimo tratto del trekking il sole batteva forte ed ha fatto piuttosto caldo. Ora invece sembra che la temperatura tenda a riabbassarsi e infatti quando giungeremo a destinazione farà decisamente freddo. Per buona parte del tragitto si attraversa un altopiano incredibilmente piatto, di sabbia e ghiaia. Alle porte di Germa, vediamo ancora purtroppo ai bordi della strada e nei pochi campi non coltivati, cumuli di rifiuti, buste di plastica specialmente. Curioso particolare che notiamo, è che tutti i cartelli stradali sono bilingui (arabo e inglese), ma con le scritte in inglese cancellate. Passeremo la notte presso il camping Wat Wat, situato giusto alle porte della cittadina. Come in quello di Ghat, siamo gli unici ospiti. Al nostro arrivo i lavoranti si affrettano a preparare tre delle capanne in muratura con tetto in foglie di palma. I bagni, come nel campeggio di Ghat, sono in condizioni pietose. L’unico reale beneficio di cui si gode sono le docce, che dopo giorni di deserto….ci vogliono. Per il resto molto meglio la tenda e…le dune! Passiamo parte della serata davanti al televisore del campeggio. In tutti i giorni passati le pochissime notizie sulla guerra le abbiamo avute dai nostri autisti, i quali si sforzavano di tradurre qualche scarna notizia dai pochi notiziari in arabo che si riusciva a ricevere via radio. Quindi questa volta, disponendo di una televisione, ci siamo messi tutti insieme, italiani e libici, a vedere Al Jazeera! Quadretto veramente curioso, addirittura divertente, se non fosse per la tragedia della guerra in corso.

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