Niger. Air Teneré, le piste del silenzio

Info/2

di Davide Bergami e Antonella Bergonzoni
Viaggio effettuato dal 22/11/2003 al 01/12/2003

 

Il Niger è stato duramente condizionato dalle siccità che hanno colpito il sahel negli anni 1973 e 1984. Anche se dalla fine degli anni ottanta in poi le precipitazioni sono tornate su valori normali, resta sempre elevato il rischio che questa fascia marginale del deserto, dove i deficit pluviometrici sono ricorrenti, venga in un futuro prossimo colpita da anomalie climatiche che potrebbero avere conseguenze ancora più drammatiche.
Queste disastrose siccità hanno provocato anche una drastica riduzione della consistenza del patrimonio animale, in parte sterminato dalla fame e in parte trasferito nei paesi confinanti. Nel paese l’allevamento del bestiame, principalmente zebù, ovini e dromedari, costituisce l’attività più importante nel settore dell’economia, concorrendo a formare all’incirca il 15% del valore del prodotto interno. Il dramma delle siccità e soprattutto la forte pressione demografica, hanno evidenziato che il sahel è un ambiente ecologicamente fragile, incapace così di sopportare un’eccessiva pressione antropica. Le scarse precipitazioni, inoltre hanno fatto sì che la portata del fiume Niger, in questi ultimi due decenni, si sia ridotta di circa un terzo con conseguenze catastrofiche per i circa 110 milioni di persone che vivono lungo le rive di questo fiume. L’anno scorso la scarsità di acqua era tale che, gli abitanti di Niamey guardavano dai ponti un fiume praticamente in secca. Il forte inquinamento unito alla drastica di diminuzione della portata di acqua del fiume, ha effetti disastrosi sulla navigabilità del fiume e di conseguenze sulle economie locali, considerato che il fiume Niger è l’unica fonte di approvvigionamento di acqua per l’agricoltura e il bere di tutto il paese.
Il Niger, indipendente dal 1960, è una delle tante entità politiche artificiali prodotte dalla storia coloniale, come lo si può facilmente desumere dall’andamento pressoché rettilineo di alcuni tratti di confine, fissati dalla Francia quando si trattò di definire i vari stati che facevano parte dei possedimenti coloniali in Africa Occidentale. Questo paese, sprovvisto di vie di comunicazione moderne, è praticamente privo di risorse esportabili, ed è tra i paesi dell’ex colonia francese quello che versa nella situazione più critica, dove la durata media della vita è di circa 47 anni con un elevata mortalità infantile e un reddito pro capite medio che è, come in tutto il sahel, ai limiti della soglia di sopravvivenza. Nel corso degli anni settanta, con la scoperta dell’uranio nella zona di Arlit, il Niger divenne il secondo produttore del continente africano. Per circa un decennio il paese beneficiò di consistenti introiti; il calo del prezzo dell’uranio, unito al progressivo assottigliamento della rendita mineraria, ha fatto sì che la sopravvivenza economica di questo stato dipenda ormai in larga misura dall’esito delle trattative sulla riduzione del debito estero, nonché dagli aiuti internazionali.
Ora un altro dramma sta investendo questo paese: la "nuova tratta degli schiavi". In questi ultimi anni migliaia di persone cercano di fuggire dai loro paese di origine, principalmente quelli del Golfo di Guinea per la miseria e la disperazione in cui versano, nell’illusione di poter entrare clandestinamente in Europa. Le rotte dei clandestini fanno tutte tappa ad Agadez, l’imbuto dentro cui passa tutto il traffico verso l’Italia, per poi affrontare il temutissimo Ténéré ed il Sahara nella terra di nessuno tra Niger e Libia. Un vero e proprio popolo in fuga, che affronta i 4-5 giorni di viaggio nel Ténéré, ammassati come bestie su vecchi camion Mercedes 6x6 fino a Dirkou, divenuta ora l’oasi degli schiavi; una vera e propria prigione a cielo aperto, dove il Ténéré ed il Sahara sono le sue sbarre. Qui nella grande roulette in cui ci si gioca la vita, solo pochi fortunati potranno raggiungere le coste libiche e affrontare poi, su inumane carrette del mare, il famigerato canale di Sicilia, per approdare a Lampedusa, porta d’accesso all’Europa meridionale.

 

 

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