Sal (Capo Verde): una terra, un sogno
di Marina Binda

 

Inerpicandosi per poche centinaia di metri su uno sterrato, si giunge al cratere del vulcano di Pedra del Lume a cui si accede attraverso un tunnel scavato nella roccia. Nel secolo scorso era fiorente la produzione di sale, tanto che lungo la strada esterna al vulcano è ancora visibile l’antica teleferica, interamente costruita in legno, utilizzata per trasportare il prezioso prodotto.

L’interno del vulcano è un luogo suggestivo ed affascinante: qui la roccia ed il terreno assumono le colorazioni dal verde al bianco, dal rosa al blu. Nel cratere vi sono grandi campi di sale e piccoli laghetti ove albergano simpatici uccelletti dal busto grasso e le gambe lunge e secche.
Poiché siamo arrivati verso le cinque di sera mentre la massa dei turisti stava andando via (l’unico punto di ristoro, con docce, chiude alle 17,30), siamo rimasti soli, con l’unica compagnia di un capoverdiano che svolgeva le funzioni di guardiano.
Le pendici del cratere sono costellate, a tratti, da fazzoletti di vegetazione verde smeraldo che contende il territorio alle distese di sale. In uno dei laghetti vi è un particolare tipo di fango che sembra abbia proprietà dimagranti miracolose. Le mie amiche ed io, attratte dalle fantasmagoriche proprietà estetiche e terapeutiche, ci siamo subito cosparse di questo limo che, in realtà, non so se fosse così efficace visto che il guardiano, poi, ci ha indicato un luogo di prelievo ben lontano da quello da noi prescelto.
Comunque sia, io, completamente ricoperta di un fango nerissimo, che ha stentato ad essiccarsi per un tempo infinitamente lungo, ho deciso di allontanarmi dagli altri, per fare una passeggiata in perfetta solitudine, in un silenzio irreale. Nessuna traccia umana, né visiva né sonora, solo il lieve rumore del vento. E lì, sola e quasi mimetizzata nell’ambiente circostante, ho percepito la forte energia che pervade quel luogo -forse dovuta al rivolgimento magmatico sottostante, o forse ad altro- simile a Stonehenge, a Castel del Monte, a Mileto, in Turchia. Lentamente, con questa nuova consapevolezza, sono tornata dagli altri, spinta anche dal desiderio di comunicare loro la mia percezione, che non so se sia stata condivisa.
Poco dopo ci siamo “lavati” alla bella e meglio in una gora salmastra, per poi andare a fare il bagno nel lago salato per eccellenza: 10 volte più salato del Mar Morto e 25 volte più salato dell’oceano. Naturalmente si galleggiava e l’acqua era calda e di colore rosa cupo. Il guardiano ci ha spiegato che la cromaticità del bacino dipende dai minerali presenti sul fondo, peraltro interamente ricoperto di sale, tanto da rendere imprescindibile l’uso di ciabatte di gomma.
Dopo una mezzora di ammollo che ci ha reso euforici, - evidentemente speravamo nel miracolo estetico- siamo saliti al punto di ristoro, ove abbiamo constatato, con orrore, che le docce erano state chiuse. La scoperta ci è parsa ferale, in considerazione della fanghiglia salata appiccicatasi sulla pelle. Ma il guardiano, vero angelo nero del cratere, ci ha consigliato di provare un lavandino sito all’esterno, sul retro della costruzione. Dal rubinetto, come per incanto, è uscito un rigagnolo di acqua dolce, che ci ha reso felici come se si trattasse del più prezioso degli ori. E così, in francescana letizia, ci siamo sciacquate un po’ le braccia e le gambe, sentendoci rinate (Gianluca aveva sdegnosamente disprezzato il rivolo, pentendosene poi).
Col sole basso nel cielo siamo tornati alla macchina per intraprendere la via del ritorno, in uno stato di innamoramento per questa terra bellissima, per l’amicizia che ci unisce, e i generale, per la vita.

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