Sal (Capo Verde): una terra, un sogno
di Marina Binda


In questo momento, mentre scrivo sul terrazzo, è ormai buio e sento suonare la campana di Santa Maria Maggiore: sono le nove di sera. Ricordo che a quest’ora, quando avevo studio a Colle Oppio, mi imponevo di chiudere i fascicoli a cui stavo lavorando, sentendo il richiamo del campanone. Una nostalgia repentinamente mi coglie, ma sono consapevole che ora ho un nuovo lavoro, soddisfacente, e che quella è una porta chiusa per sempre.
Ma torniamo al viaggio a Capo Verde. Il quindici agosto mattina mio marito ed io abbiamo affittato due ciclomotori (prediligendo sempre un esercizio commerciale locale piuttosto che una milionaria impresa internazionale) per andare ad assistere ad una processione e ad una festa popolare nel villaggio di Preda de Lume. Le mie colleghe, invece, avevano deciso di partecipare ad una escursione in caicco organizzata dall’albergo.
Sulla spiaggia di Pedra de Lume era stato costruito un piccolo palco ed approntate alcune baracchette per la vendita di cibo e vivande.
Dopo una preparazione infinita, caratterizzata da una spasmodica cura per ogni più piccolo particolare, è iniziata la celebrazione della Messa, allietata da un simpatico coro di ragazzi locali. Io mi sono sistemata sotto una tettoia e mi sono fatta dare il foglietto dei canti. Poiché le melodie erano semplici e la lingua “possibile”, ho subito cominciato a cantare sommessamente insieme ai presenti, suscitando il sorriso stupito dei vicini. Tutto sommato credo fossero contenti di questa mia partecipazione attiva, come dimostra il fatto che al momento dello scambio della pace tutti volevano stringermi la mano.


La devozione di questa gente è toccante: era tangibile anche durante la processione ove ero l’unica occidentale, eccezion fatta per tre-quattro portoghesi. Anch’io, ovviamente, ho partecipato ed ho cercato di fare esattamente ciò che facevano gli altri, ivi compreso il bacio ad una statuetta di una Madonnina (che ho dato, vincendo uno stupido senso di vergogna). Siamo poi arrivati alla chiesetta ove sono state recitate altre preghiere che non ho compreso.

Alla fine mi sembrava di essere una di loro: ho salutato tutti e scambiato qualche parola con i più anziani, nei limiti della reciproca comprensione. A Capo Verde, infatti, la maggior parte delle persone conosce l’italiano. Gianluca mi sorvegliava da lontano, sorridente e pago della mia contentezza.
La sera del 15 agosto ci siamo ricongiunti alle mie amiche, tornate soddisfatte dalla gita in caicco, non immaginando che di lì a poco avremmo vissuto un’esperienza irripetibile.
Infatti, dopo cena ci siamo recati in un luogo disabitato vicino al mare, assieme ad un gruppetto di persone capitanato da una guida capoverdiana. Lì abbiamo visto una tartaruga che deponeva le uova.

Avrà fatto una quindicina di uova, piccole come palline da ping pong, bianche e perfettamente tonde. Quando l’abbiamo incontrata lei aveva già scavato una buca, larga ma poco profonda e vi si era accovacciata; ha poi deposto le uova con grande fatica ed ha infine ricoperto le palline con la sabbia, servendosi delle zampe posteriori. Così, le ha nascoste e reso invisibili a sguardi indiscreti. Poco dopo è ritornata in mare.
Detto così, può sembrare un fatto assolutamente banale, un racconto salottiero da sfoggiare al ritorno dalle vacanze, ma, in realtà è stata un’esperienza straordinaria ed indimenticabile.
Era una notte stellata e senza luna: ci siamo inoltrati su strade sterrate e poco conosciute della deserta Sal per giungere in un luogo ove una giovane tartaruga (avrà avuto 25 anni, ci hanno detto), ha assicurato la continuità della sua antichissima specie millenaria. Per poi tornare verso ciò che per lei è la madre delle madri: il mare immenso ed accogliente.
E se per caso quelle fragili uova dovessero sopravvivere agli elementi o al calpestio causale di qualche turista di passaggio, esse dovrebbero schiudersi intorno al 30 settembre 2006, poiché, come ci è stato riferito, esse “dormono” per circa 45 giorni, prima di aprirsi. Dovrò incontrarmi, la sera del 30 settembre, con i miei compagni di viaggio per brindare e festeggiare l’avvenimento: la nascita di quindici piccole tartarughe, figlie della caretta che con sforzi inenarrabili ed in completa solitudine (a parte un fastidioso gruppo di umani della cui compagnia avrebbe fatto volentieri a meno) ha dato loro la vita in una notte di mezza estate. E non appena la tartaruga ha deposto l’ultimo uovo, quando ormai esausta stava provvedendo alla mimetizzazione dei luoghi, ho potuto scorgere in lontananza i bagliori e le stelle luccicanti dei fuochi d’artificio di ferragosto, che mentalmente ho dedicato a lei.

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