Sal (Capo Verde): una terra, un sogno
di Marina Binda



Boavista
Il 17 agosto abbiamo partecipato ad un’escursione organizzata dall’equipe del villaggio all’isola di Boavista. In verità, avevamo già prenotato il volo per nostro conto, ma ci siamo resi conto che avremmo speso una cifra identica o superiore (aereo, taxi sino all’aeroporto, noleggio autovettura a Boavista) con maggiore stress. Nelle gite organizzate purtroppo si perde un po’ il senso autentico del territorio, ma quando si ha una sola settimana a disposizione talvolta è inevitabile appoggiarsi ad una struttura, anche in considerazione di tutte le cose siamo riusciti a fare per nostro conto.
Dopo un quarto d’ora di volo siamo giunti a questa isola dalla forma tondeggiante, più vicina all’Africa dell’arcipelago e più selvaggia e solitaria.
Appena scesi dall’aereo ci siamo subito resi conto che il paesaggio di Boavista non è uniforme e piatto come quello di Sal, bensì ondulato e cangiante, persino verde per qualche tratto.
In sostanza, il territorio appare molto variegato: vi è il deserto di Viana, all’interno, composto da sabbia bianchissima e sempre fresca al tatto come quella maldiviana (dicono sia di origine corallina ma più probabilmente è sabbia sahariana portata dai venti del vicino continente); vi è poi una parte rocciosa formata da pietre e massi rossicci di tipo lavico, nel bel mezzo dei quali può incontrarsi una solitaria capretta o una chiesetta; vi sono spiagge incontaminate e spettacolari, come quella di Santa Monica (o Corallinho) che è la più bella che io abbia mai visto; superiore persino a quella di Cote D’Or alle Seichelles.

Santa Monica, che deve il nome alla somiglianza con la località californiana, è una distesa infinita di sabbia bianchissima, corallina (questa sicuramente sì), a ridosso della quale si vede una sorta di savana verdeggiante e ancora più indietro le colline rocciose.
L’acqua del mare ha il colore dello smeraldo e le onde sono molto altre. Il giorno in cui siamo stati là, il mare era talmente forte che strappava i costumi e buttava le persone per terra. L’onda inghiottiva ogni cosa, e tutto copriva ed oscurava: una curiosa sensazione di oblio e di annullamento, anche se di pochi istanti.
Dopo aver fatto il bagno la guida ci ha portato ad un magnifico resort ove abbiamo mangiato. Si chiama “Parque das Dunas” ed è raffinatissimo: ci tornerei molto volentieri. Lì ho scambiato qualche parola con una signora di una certa età, sola, che doveva essere vedova: a vederla sembrava equilibrata e pacata. Ho pensato che l’aver deciso di venire senza compagnia sino a Capo Verde costituiva un coraggioso attacco alla solitudine. Per questa ragione mi era simpatica.
Prima di tornare a Sal la guida ci ha portato nella cittadina principale di Boavista, Sal Rei, per farci visitare un negozio di artigianato di sua proprietà.
Io ho preferito sedermi in piazza, sotto un albero, nei pressi del quale c’era una ragazzina sola, isolata rispetto agli altri bimbetti. Aveva una gamba ricoperta da un panno sporco e poco dopo che mi ero seduta mi ha indicato il suo piede. Sicché mi sono avvicinata ed ho constatato che aveva la gamba ricoperta da pustole rotondeggianti, forse causate, voglio sperare, da ferite non curate e non disinfettate o da morsicature di qualche animale. Le ho domandato in italiano cosa le fosse successo, e lei mi ha detto una parola che non ho capito, ripetendola più volte. Era chiaro, comunque, che non riusciva a camminare con facilità, ed aveva quello sguardo mesto dell’umanità o degli animali indifesi che vengono colpiti da disgrazie repentine senza esserne colpevoli.
Io ho fatto quello che potevo: praticamente nulla. Le ho regalato una decina di caramelle e l’ho salutata soffiandole un bacino da lontano; a quel punto quell’angioletto serio ha lievemente increspato le labbra in un accenno di sorriso, pur continuando a guardarmi con occhi tristi.

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