I vini del Sud Africa /2

di Mario Crosta

Colpisce l’eccessiva resa per ettaro. La superficie vitata comprende quasi 110.000 ettari, ma soltanto meno dei due terzi delle uve finiscono in vino (il resto viene usato per brandy e mosti concentrati), la cui produzione varia tra i 9 e i 10 milioni di ettolitri l’anno, di cui 2 milioni e mezzo per l’esportazione, visto il basso consumo interno che rimane intorno ai 10 litri pro capite. Le zone WO sono più concentrate verso la costa Atlantica, la più lontana dai monsoni provenienti dall’Oceano Indiano che altrove provocano siccità inframezzate da nubifragi, oppure sugli altipiani. Siamo dall’altra parte del mondo (quando in Italia è inverno, laggiù è estate e viceversa), con temperature e precipitazioni medie a luglio intorno a 13°C e 85 mm, a gennaio intorno a 21°C e 12 mm. Quella sulle alture intorno a Città del Capo fu la zona prescelta fin dagli inizi dall’enologia sudafricana, quando nel 1654 Jan Van Riebeeck piantò le prime barbatelle provenienti dalla Francia, probabilmente chenin blanc e moscato d’Alessandria, e nel 1659 produsse il primo vino. Più tardi, nel 1683, sorse la cooperativa Kleine Zalze ad opera di Nicolas Cleef e poi nel 1685 la famosa tenuta Groot Constantia ad opera del governatore Simon Van Der Stel. Erano vini bianchi dolci e liquorosi, perchè le condizioni tropicali non permettevano altro. La fillossera distrusse i vigneti a partire dal 1885 e per oltre 20 anni, venne quindi perso il mercato inglese e l’unica ancora di salvezza fu quella di fondare delle cooperative.
Pertanto durante il regime razzista dell’apartheid esisteva una situazione di fatto dominata dall’enorme cooperativa KWV (Kooperatiewe Wijnbouwers Vereeniging), fondata nel 1918 e che gestiva l’85% del movimento delle uve, di cui quasi la metà era usata per produrre mosti concentrati. Questa controllava i prezzi e frenaval’introduzione di nuove varietà con regole severe di quarantena. Dopo la liberazione, invece, lo sviluppo della vitivinicoltura sudafricana sta profondamente mutando. Oggi la KWV raccoglie oltre 6.000 soci, possiede 5 enormi centrali d’imbottigliamento e controlla circa il 25% delle esportazioni dei distillati e del vino, ma ci sono ben altre 70 cooperative per un totale di 4.500 soci, più di 90 cantine private con vigneto ed altri 180 imbottigliatori senza vigneto. Un radicale mutamento, esattamente come sta mutando anche la struttura ampelografica della vitivinicoltura sudafricana.

Foto tratte dai relativi siti

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