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Viaggio
nel Gabon - Ricordo di Albert Schweitzer
4/4
di
Diana Pasetti
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"Cosa penso del
mondo dopo quarant'anni che mi trovo qui - disse Schweitzer? Io
sono una piccola rana che vive nel suo stagno. Per me c'è solo
un problema: guarire i malati, mantenere in efficienza il mio ospedale,
comprendere gli indigeni. Non sono al corrente di tutti I problemi dell'Africa,
ma spero che vi sia un progresso regolare in tutti I campi. Da quello
materiale allo spirituale. Fare delle profezie è impossibile.
Bisognerebbe viaggiare molto e io non viaggio. Vedere molte persone,
ed io sono sempre qui. Mi sono però sempre chiesto: come dare
una base solida e profonda alla morale? Nei dieci anni che sono rimasto
all'università, prima come studente e poi come professore, ho
avuto la gran fortuna di leggere tutto ciò che su quest'argomento
avevano scritto in Cina, in Giappone, in India e da noi. Allora ho compreso
che il Bene è Bene e che il Male è Male. La nostra civiltà
è liquidata, perché non c'è in essa l'ideale umanitario,
un sentimento guidato dagli istinti e dalle ispirazioni umane. Questo
purtroppo in tutta la nostra esistenza, sia come individui sia come società!-
Noi siamo dei Mostri umani. Un
elemento di forza ci spinge ad essere diversi da quello che in fondo
siamo. Da ciò è nata la prima guerra mondiale. Non abbiamo
saputo resistere alla distruzione. C'è nel mondo una cosa che
non comprendiamo: lo sviluppo. Gli scienziati dicono che tutto ciò
che forma la vita si è sviluppato da un'altra vita più
piccola: la cellula. Quest'organismo si è sviluppato e alla fine
è apparso l'uomo. L'UOMO che non è solo un essere materiale
che sa muoversi, lavorare, fare progressi, ma è una creatura dotata
di uno spirito. E nel profondo della parola "Spirito", questa cosa inafferrabile,
è racchiuso il problema della religione e della filosofia. Ambedue
cercano la stessa cosa camminando per due strade diverse. La religione
tende a capire quel che I profeti hanno detto sul bene e sul male. La
filosofia tende a spiegarlo aiutandosi con il ragionamento ed il pensiero
umano.
Ed ora parliamo di noi che viviamo oggi. Io dico che ognuno deve cercare
di avere un'altra occupazione oltre quella materiale necessaria all'esistenza.
Potrà così aiutare coloro che hanno bisogno di essere soccorsi.
Io dico che si deve essere uomini perché l'uomo ha bisogno dei
suoi simili. Non si tratta di avere una seconda professione, ma di tenere
gli occhi rivolti verso coloro che hanno bisogno. Non è un problema
di denaro, ma di tempo, di simpatia!".
A Lambaréné si lotta tutti I giorni per la sopravvivenza
con semplicità, con speranza. La gente sa essere felice per una
parola, per un gesto, per un po' d'attenzione.
Ignoranza e superstizione sono però molto diffuse e quindi c'era
un'altra immane e costante lotta che il Dottore Bianco doveva affrontare
quotidianamente. Lo scontro contro un suo potente antagonista: lo sciamano
del villaggio. Molti, troppi erano ancora coloro che si rivolgevano a
lui per guarire I propri mali. Così si perdevano delle vite talvolta
anche delle malattie semplici, che avrebbero comunque avuto bisogno di
un bisturi. Personalmente, ciò che più mi rattristava era
l'apprendere in un radioso mattino qualsiasi, che un bambino era stato
condotto da lui e non ce l'aveva fatta a superare la notte.
Per fortuna I bambini nascevano anche. Ed erano tanti!
Regnava perciò una grande confusione, in un'altra serata particolare,
sotto il portico, intorno al tavolo, intorno alla scatola magica e soprattutto
intorno al Dottor Schweitzer.
Si stava festeggiando l'ennesima operazione riuscita, eseguita dal Docteur
e dai suoi collaboratori. Due le vite salvate: una partoriente ed il
suo bambino.
La ragazza aveva bisogno che le fosse praticato un taglio cesareo. Lo
stregone, al quale si era rivolta ormai all'estremo delle forze, non
lo sapeva, e comunque non lo avrebbe potuto eseguire.
In estremis era stata tolta dalle mani feticci e accompagnata all'ospedale.
E ancora una volta la scienza e la tenacia del medico bianco avevano
avuto la meglio, riuscendo a compiere uno dei tanti miracoli, con i rudimentali
mezzi tecnici a disposizione.
E' nata una bellissima bambina, figlia di un mitico cacciatore del luogo,
forse per questo le è stato imposto il mio nome. Un nome davvero
strano per una piccola nera.
Ne sono davvero felice! Il nome della dea cacciatrice sarà bellissimo
anche laggiù, nella profonda Africa equatoriale.
E con la nascita gioiosa della piccola Diana è trascorsa la nostra
ultima serata a Lambaréné nel villaggio d'Adolinanongo.
La vera VITA è rullata davanti ai miei occhi in quei giorni africani.
Intensa e tangibile, e ho avuto la fortuna di conoscere, al di sopra
d'ogni altra persona, luogo, esperienza ed emozione, un essere umano,
che con il suo esempio avrebbe condizionato tutta la mia personale, futura
esistenza. Con il suo esempio mi ha aiutato a crescere in fretta, dal
punto di vista culturale e umanistico.
Non è da tutti poter vivere, seppur brevemente e in così
giovane età, vicino a un premio Nobel per la Pace.
L'anima si è riempita di mille canzoni dalle sfumature più
profonde e poetiche. Il desiderio di approfondire si è incuneato
nel mio profondo, come un germoglio e non mi avrebbe più abbandonata
insieme alla voglia di conoscere, viaggiare, arricchire ogni ulteriore
sapere e poterlo poi rinnovare in ogni giorno a venire.
Decine le barche nuovamente pronte a salpare, poco distanti dalla riva
sabbiosa del fiume Ogooué. Tutti volevano scortarci fino a Libreville
per un ultimo saluto. I tam tam avevano ripreso a battere, prima in sordina
poi sempre più forti fino a divenire assordanti scandendo, a modo
loro, parole di commiato.
Il grande dottore bianco, in piedi sulla riva così come mi era
apparso la prima volta, adesso aveva il volto nascosto dalla balza del
suo cappello. Solo quando navigavamo, ormai troppo lontani da lui per
vedere le sue lacrime d'addio, se lo tolse e lo sventolò in aria
a lungo, salutando. In alto verso il cielo...
Era tanto vecchio, infinitamente stanco e a noi aveva donato le sue speranze
affinché il suo mondo continuasse¼
Stavamo tornando a casa con un aereo di linea questa volta, e come una
veterana del volo, mi sedetti vicino al finestrino e mi allacciai la
cintura di sicurezza. Sandro scherzù: "E' ancora lì la
scimmietta?"
Papà si era seduto vicino a me. Prese la mia mano tra le sue l'aereo
aveva già lasciato la pista d'asfalto e ora, virando, si alzava
veloce.
Stavamo lasciando il suolo africano, dirigendosi in alto verso le nuvole.
Fuori dall'oblù, sopra di esse così statiche, immobili,
mi parve di vedere un vecchio camminare curvo, completamente vestito
di bianco.
In quell'infinito, mi parve sentire la musica di un organo suonare Bach
e la musica amalgamarsi al battito delle mani su dei tamburi. "Tam¼Tam¼"
poi, per una volta ancora, sentii la sua voce. La voce di "Albert mon
ami".
Albert Schweitzer presente a ricordarci il suo messaggio ultimo: "Non
si può vivere senza speranza. La speranza che abbiamo e che conserviamo
è la forza della nostra epoca. Il grande pericolo per l'uomo è
perdere il suo umanesimo. Non essere più uomo, diventare lui stesso
una macchina. Bisogna reagire. Cercare cosa si può fare come uomini..
Noi dobbiamo, sia per mezzo della religione, sia per mezzo della nostra
condotta,cercare quello che vi è di spirituale in noi e farlo
progredire!Ó.
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