Più reale, e dove i toubab (termine che i senegalesi riservano
non molto affettuosamente ai turisti piùû turisti) rischiano meno
di essere inseguiti per l'acquisto delle merci che vi si vendono, è
il mercato del pesce a Soumbédioune. Dalla mattina a notte inoltrata,
i pescatori scaricano dalle loro piroghe spada, marlins, tonni, barracuda,
ombrine dalla bocca d'oro, carangidi, snappers (sono pesci simili al dentice)
e threadfin giganti che vengono eviscerati da specifici addetti e squamati
da altri, in un ordine gerarchico preciso e antico. Un ordine che si ritrova
in altri punti della città, con i lavori "intoccabili" di cui il
Senegal abbonda.
Come quello delle donne che pestano il grano per conto terzi. Uno dei
mestieri considerato come tra i più umili in assoluto, tanto che
queste stesse "operaie" non gradiscono essere avvicinate né dai
senegalesi che non portano loro lavoro, né, tantomeno, da stranieri
in cerca di veloci istantanee.
Ma passeggiando per le vie di Dakar si captano, oggi, oltre agli odori
inebrianti della cucina senegalese proposta dai mille ristoranti e dai
mille banchetti che offrono ogni specialità, le tracce di un colonialismo
tutto sommato recente. A
Pointe des Almadies, il punto dell'Africa più vicino al continente
americano,oltre a una bella vista sull'oceano, troverete anche una particolare
offerta gastronomica: le piccole, ma gustosissime ostriche dell'Atlantico.
Nei numerosi baracchini che si trovano sulle spiaggie antistanti il Club
Méditerranée o Le Meridien President, la classica dozzina
viene offerta intorno alle 10.000 lire. Occhio a non esagerare, quindi. Ma torniamo a Dakar dove, sui muri delle case, noterete facilmente murales raffiguranti
scene un po' truci. Niente paura. Molto probabilmente siete incappati in
una delle opere del Set Setal, espressione che significa "pulire per essere
puliti". È un movimento nato negli anni Ottanta che cerca di coinvolgere
le giovani generazioni in un'opera di modernizzazione morale e politica
del Paese. All'origine del suo nome c'è una canzone di Youssou Ndour,
cantante famosissimo anche in Italia.
Verso il sud della città, lungo i viali che costeggiano le ambasciate
o tra boulevard de la République e l'avenue Roume, rimane ben viva
l'antica magnificenza portata dai bianchi, ma esaltata dai neri e dall'atmosfera
africana. Come, per esempio, il palazzo presidenziale, saldamente retto
dal 1960 al 1980 da Leopold Sedar Senghor, primo presidente del Senegal
indipendente, nonché poeta e scrittore.
Una storia atipica la sua, lui, cattolico e di etnia serere, presidente
di una repubblica a larga maggioranza islamica e composta dal 40% circa
di Wolof, la stirpe principale del Senegal. Nato a Joal, un piccolo villaggio
sulla Petite Côte, nel 1906, studente alla Sorbona, poi combattente
per la bandiera francese durante la seconda guerra mondiale, e rappresentante
del Senegal all'Assemblea Nazionale Francese nel 1945. Senghor fu uno dei
pochi presidenti di quell'Africa che si stava scrollando di dosso il colonialismo,
che rispettò, almeno in parte, le regole democratiche, portando
il Paese verso una vera forma di governo repubblicana e multipartitica.
E Senghor diede anche un forte contributo, dal punto di vista strettamente
africano, al concetto di "negritudine", termine coniato dal poeta caraibico
Aimé Césaire.
"La negritudine è il patrimonio culturale, il valore e soprattutto
lo spirito della civiltà negro-africana. La negritudine è
una qualità del sentire che l'uomo nero porta con sé costantemente,
è la matrice della sua identità umana profonda non
solo una forma di orgoglio razziale su cui costruire la rivolta all'oppressione
bianca" disse Senghor in un intervista del 1965.
Oppressione che, spostandosi...