Il
villaggio che ho di fronte è stato
costruito proprio sotto la montagna, sono abitazioni
piccolissime di forma quadrata, fatte di fango con un
tetto di paglia. Per le strette viuzze del villaggio
vedo le famose porte e le finestre di legno, sono lavori
bellissimi con preziosi intarsi e incisioni. Poi la
casa del Gran consiglio, la Toguna, il punto di riferimento
per la comunità, quattro grossi pali sormontati
da una tettoia di paglia, la casa rimane aperta sui
quattro lati. Togu na significa letteralmente gran riparo,
ma i Dogon la chiamano anche casa della parola. Gran
parte della vita sociale è vissuta attorno a
questa casa, la giustizia, i calendari agricoli, gli
interventi d'emergenza ed i provvedimenti di carattere
amministrativo sono decisi qui. I Dogon sono famosi
anche per la loro cultura, la religione e la cosmologia,
ma sono argomenti talmente complessi che riportarli
non sarebbe facile e richiederebbe molta carta su cui
scrivere. Sosta sotto un albero, fa troppo caldo per
proseguire, ora ci sono 33-35 gradi, ma il vento che
soffia attenua la fatica. Lungo la strada trovi piccoli
villaggi, e spesso nella falaise si sentono in lontananza
tamburi suonare, è bello camminare e ascoltare
musica. Ho imparato alcune parole: Agapò: buongiorno,
Digapò: buonasera, Sewa: come va, Po: salire,
Ganà: grazie, e Onan: fatica. In un villaggio
che sono andato a visitare prima c'era una piccola chiesa
cattolica, una casa tipica del luogo trasformata in
un luogo sacro, con tanto di campana al suo ingresso.
La campana per la verità è un semplice
cerchione d'auto appeso a un albero. All'interno di
questa piccola chiesa pareti spoglie, alcune immagini
della via crucis, una piccola statua in legno della
madonna e un Cristo appoggiato sull'altare, le panche
sono dei tronchi di legno appoggiati per terra. Mi sono
messo a parlare con il prete, e mi ha spiegato i suoi
problemi quotidiani, poi mi ha confidato che è
difficile la sua presenza qui, anche perché gran
parte della popolazione locale è rimasta fedele
alla propria religione. Dopo averlo salutato, ho notato
un cartello lungo la strada, portava l'indicazione di
una moschea, anche questo a fargli concorrenza! Ma è
la cordialità delle persone che sorprende, lungo
la strada incontri uomini a lavorare nei campi, donne
che portano legna a casa e bambini, mille bambini che
ti seguono e per istaurare un contatto. Tutti con il
sorriso sulle labbra, pronti a indicarti la via migliore
da percorrere, ma sempre e tutti lungo la strada ti
domandano sewa, ovvero come va? Di sera poi c'è
sempre un vento caldo, un dolce soffio che avvolge tutti
e tutto.
Sono stato ospite
di una scuola nella falaise stasera, un professore
mi ha fatto visitare la sua classe e mi ha spiegato
che è composta di 169 alunni. Nella stessa classe
ha bambini di tutte le età, dai sei anni in su,
ma la cosa favolosa è stata aprire un libro di
testo, un libro di storia. La cosa che più mi
ha colpito è stata trovarlo diverso, è
banale quello che ora scrivo, ma non ho trovato nulla
sulla rivoluzione francese o sul sacro romano impero,
solo la storia di questa terra. L'impero del Ghana,
che fu il primo stato importante della regione, poi
il regno del Mali, l'impero Songhai, a seguire la tratta
degli schiavi e la colonizzazione francese, fino ad
arrivare ai giorni nostri e ai problemi che affliggono
questo Paese. Ciò che si scopre in questi momenti
è una diversità culturale e sociale, un'autenticità
reale dalle cose che non sempre è visibile dall'esterno.
Non passiva, come può essere un servizio giornalistico
o un documentario in televisione, ma attiva perché
il turista che cammina per il Mali, colui che sceglie
una meta così poco convenzionale, si trova a
oltrepassare il confine a cui è abituato a vivere
nel quotidiano. L'avventura, la fatica e l'aver appreso
rappresentano il mezzo per costruirsi una nuova identità,
solo raggiungendo questo punto d'arrivo si diventa viaggiatore
consapevole. Consapevole delle cose viste e provate
lungo la strada, che sovente si ritrasmette nei discorsi
e nei racconti con altre persone, ma solo con quelle
che vogliono ascoltare. Concludo questo breve racconto
con una frase presa in prestito da un libro di un grande
scrittore, Pino Cacucci: " Si possono percorrere milioni
di chilometri in una sola vita, senza mai scalfire la
superficie, né imparare nulla dalle genti appena
sfiorate. Il senso del viaggio sta nel fermarsi ad ascoltare
chiunque abbia una storia da raccontare". Sewa?
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